Ci sono voluti cinque anni, tanti sono infatti passati da Phoenix Wright: Ace Attorney Trilogy, che debuttò nell’aprile del 2019, ma alla fine con Apollo Justice: Ace Attorney Trilogy per Nintendo Switch, PlayStation 4 e 5, Microsoft Windows, Xbox One e Series, si chiude un cerchio. E possiamo dirci laureati in legge, con la licenza (che nel gioco Capcom è una spilla) in tasca, pronti per poter esercitare la professione forense e risolvere tantissimi casi.
Apollo Justice Ace Attorney Trilogy, obiezione!
Non staremo qui a spiegarvi il concept alla base di Apollo Justice: Ace Attorney Trilogy, perché la fortunata IP Capcom tra mobile e console portatili (in particolare Nintendo DS e 3DS) ha saputo coagulare attorno a sé milioni di fans, a tal punto da essere entrata nell’immaginario collettivo con tanto di gif e meme a tema. Urge maggiormente chiarire, invece, che il titolo della collection può trarre in inganno: Apollo Justice Ace Attorney Trilogy non si concentra solo sull’avvocato di rosso vestito, proponendo anche le querelle tribunalizie del buon vecchio Phoenix Wright.
La nuova trilogia permette infatti di rigiocare i 14 casi di Apollo Justice: Ace Attorney, Phoenix Wright: Ace Attorney – Dual Destinies e Phoenix Wright: Ace Attorney – Spirit of Justice che coi DLC arrivano a 16. Per un totale di una trentina di ore di gioco che diverte oggi come allora. Salvo leggere variazioni sul tema, si tratta quasi sempre di investigare prima sulla scena del delitto, da passare in rassegna pixel per pixel raccogliendo prove e indizi come nei più tradizionali punta e clicca.
Fatto questo ci si sposta in tribunale, che è poi la fase che contraddistingue questa serie legaleggiante. In quella sede, sulla base delle testimonianze e delle prove raccolte sul campo, occorrerà incalzare testimoni reticenti e imputati mendaci alla scoperta della verità.
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Una commistione ilare (per via degli improbabili figuri che si incontrano) ed efficace, anche se nel 2024 inizia a dare qualche segno di cedimento: il vero limite dell’impalcatura messa in piedi da Capcom, infatti, è che bisogna tirar fuori prove e indizi nell’esatto momento in cui sono previsti dalla sceneggiatura, così da incastrare i pezzi del puzzle come hanno prestabilito gli sviluppatori. Farlo anche solo nello scambio di battute successivo comporta il game over.
In realtà si viene abbastanza guidati e c’è comunque margine per commettere qualche sbaglio, ma una simile rigidità può apparire frustrante ai giocatori del 2024. Come appare frustrante l’assenza della traduzione italiana. Ai tempi la perdita di Shu Takumi, che aveva curato la sceneggiatura dei primi tre episodi, era pesata parecchio.
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Rigiocare oggi questi capitoli non li rende poi così distanti da quella che potremmo definire “trilogia classica”: i canoni della serie (ilarità, demenzialità e qualche sparuto momento molto serio) sono rispettati pienamente. In più giocarli tutti d’un fiato permette di cogliere sfumature ed evoluzioni dei protagonisti che ai tempi, a diversi anni di distanza l’uno dall’altro, immancabilmente c’erano sfuggiti.