C’è un nuovo personaggio nel sequel di Inside Out, film coprodotto da Pixar e Disney, uscito nel 2015 ed amatissimo, sia da pubblico che critica. Nella nuova pellicola, che arriverà nelle sale a giugno 2024, la protagonista è sempre la giovane Ridley, insieme alle emozioni che vivono nella sua testa, alle quali si aggiunge un nuovo stato d’animo rispetto a quelli precedenti. Non più solo rabbia, tristezza, paura, gioia e disgusto, ma anche ansia. Un piccolo pupazzo arancione dai capelli spettinati, che fa la sua comparsa nelle sensazioni provate dall’ormai tredicenne, in piena pubertà. Il trailer ha già riscosso talmente tanto successo da aggiudicarsi il primato del più visto per la categoria film d’animazione. E non è un caso.
Stare male non è più un tabù
La salute mentale ha cessato da tempo di essere un tabù. Se ne fa un gran parlare, anche al cinema e in televisione, come dimostrano i sempre più numerosi film e serie tv dedicati al tema delle sofferenze mentali, già raccontati da Startupitalia. Ed è un bene, considerando che i dati dicono che di stress e depressione si soffre sempre di più, anche e soprattutto tra i giovani. “La depressione e i disturbi d’ansia tra i giovanissimi sono in aumento esponenziale da anni”, ha dichiarato di recente Stefano Vicari, responsabile di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza dell’ospedale Bambino Gesù di Roma. “Una vera e propria emergenza psichiatrica”.
In aumento le diagnosi di ansia patologica
A confermarlo a StratupItalia è Valentina Poma, psicologa di Dipendiamo, centro per la cura delle dipendenze psichiche con sede a Bergamo. “Gli accessi alla terapia sono sicuramente aumentati e lo vediamo molto nella generazione dei nati a cavallo degli Anni Duemila, quindi dal 1995 in poi”. La pandemia può essere stato un fattore scatenante, ma a far schizzare i dati delle diagnosi “è anche la maggiore consapevolezza che si è diffusa su questi temi, perché si è finalmente scardinato un tabù”.
Non tutta l’ansia è negativa
L’ansia sembra diventata una delle condizioni che più caratterizza la nostra epoca. Esiste però un modo per non esserne sopraffatti. Dal punto di vista medico è uno stato d’animo “che fa parte delle emozioni appartenenti al gruppo della paura”. A differenza però delle altre paure specifiche, “questa è una condizione generica, una reazione generalizzata e anche anticipatoria rispetto a un evento che si percepisce come minaccioso ma che deve ancora verificarsi”, prosegue Poma. A questo punto però bisogna differenziare. Un conto è “avvertire preoccupazione per alcuni passaggi della vita che sono più significativi; un conto è provare un sentimento talmente forte da risultare invalidante e bloccarci”.
Esiste un’ansia ‘buona’
Volendo fare qualche esempio che riguarda i giovanissimi, il caso tipico è quello di un’interrogazione o di una verifica a scuola. “È del tutto normale, specie se di mezzo c’è una materia particolarmente ostica”. Ed è anzi “un’ansia positiva – specifica Poma – se quello stato d’animo permette di dedicare più tempo allo studio o porta a approfondire i temi, prendendo delle ripetizioni, in modo da affrontare la prova al meglio”. Opposto è il caso in cui l’ansia diventa paralizzante. Lì scatta l’elemento patologico: “Si è talmente spaventati da perdere la lucidità per studiare bene, al punto magari di decidere di assentarsi da scuola”.
Eventi traumatici hanno scosso i più giovani
Non c’è da stupirsi se il mondo dei più giovani è pervaso da sentimenti simili. “Ne sono successe di cose che hanno destabilizzato le persone nelle fasce di vita più sensibili, a partire dalla pandemia”. Anche i bambini ne hanno risentito. Non hanno aiutato “le immagini dei volti con le mascherine, i giochi incatenati al parco, la dad e anche gli stessi timori trasmessi dagli adulti, figure di accudimento per i più piccoli”.
Come conseguenza si è formata una generazione di individui “che non riescono a concretizzare obiettivi e progetti. Sono spaventati, poco attrezzati per la creazione di un possibile futuro, ma anche per la complessità del presente, che percepiscono come scoraggiante, perché pieno di imprevisti”.
Tanti i fattori responsabili
Un singolo colpevole a cui guardare non c’è. Non sono solo i genitori che sbagliano a educare o i social che canalizzano messaggi negativi. Anche lo stesso cellulare, o più in generale gli schermi, non sono da demonizzare: “Ne va fatto un uso corretto, con l’accompagnamento da parte dei genitori per imparare a usare bene il mezzo”.
Ed è proprio in ambito familiare che può cominciare la prevenzione. L’emergenza in corso va sfruttata in modo positivo. Nel momento in cui c’è una fragilità, evidenzia la specialista, “il primo approccio è riconoscerla e indirizzarsi verso un percorso terapeutico”. Anche perché “la prognosi più probabile, in caso di mancata cura, è quella di sviluppare una dipendenza”.