Il ruolo del digitale nella scuola. Il tema della salute mentale. I contenuti per fare lezione a tutti
Nei caldi, anzi roventi (non solo dal punto di vista del meteo) giorni della maturità, StartupItalia ripropone alcune interviste a docenti particolarmente amati sui social che vantano classi virtuali di migliaia e migliaia di follower, anzi, studenti. I loro consigli per non farsi prendere dal panico e superare brillantemente ogni prova.
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La sua classe conta oltre mezzo milione di alunni. Ma soltanto se si guarda a TikTok. Su YouTube, dove è attivo dal 2015, Vincenzo Schettini è seguito da oltre 200mila persone. Studenti o semplici curiosi che decidono di approfondire meglio quella legge della fisica che proprio non riusciva a entrargli in testa alle superiori. Abituati a pensare che sulle piattaforme guardiamo soltanto i video stupidi, spesso ci dimentichiamo che i contenuti di qualità rendono internet un luogo dove è sempre possibile impiegare bene il proprio tempo e lasciarsi ispirare. La Fisica Che Ci Piace è il nome del canale social dove un prof di una scuola superiore di Castellana Grotte, in provincia di Bari, si riprende mentre spiega. «Io faccio la mia lezione normalmente – ci ha spiegato Schettini in questa intervista a StartupItalia – e mi riprendo con lo smartphone. Poi a casa estraggo un minuto per comunicare un concetto alla rete: la dinamica, la forza, una legge in particolare. Se facessi lezione al nulla, senza gli alunni davanti, non ci riuscirei».
La Fisica Che Ci Piace: l’intervista
Ci racconti qualcosa di te? Qual è stato il tuo percorso?
«Sono un ex studente. Mi sono laureato in fisica all’università e diplomato in violino. Insegno dal 2007, ma salgo anche sui palchi, con il mio gruppo gospel. Due esperienze che sembravano così distanti. E invece si sono incontrate. Insegnare significa comunicare. E il comunicatore deve sapere incantare, esattamente come un musicista. Nel 2014 ho capito che i social erano qualcosa di straordinario e nel 2015 ho aperto il canale YouTube La Fisica Che Ci Piace».
Gli studenti come vivono questa tua professione da content creator?
«La mia passione dipende dai loro occhi. Loro sono entusiasti, a volte anche imbarazzati perché mi vedono con tanti follower. Io invece gli dico sempre di darmi feedback. Lo stesso vale per i colleghi a scuola: sono curiosi, mi fanno domande, mi chiedono come lanciarsi anche loro sui social. Non ho mai avvertito un senso di ostilità o invidia».
La scuola è finita. Dopo oltre due anni di pandemia che cosa ti ha colpito di più degli alunni?
«Mi ha sorpreso molto la loro pazienza. Hanno vissuto una didattica disordinata, con tutta l’insicurezza sull’online. Li ho sentiti persi, soprattutto nei primi tre mesi a casa nel 2020, in cui avevamo notizie di compagni che non stavano bene. Ero angosciato. Ma andavano avanti. Io non so come avrei reagito. Sono molto orgoglioso di loro».
Come si fa a comunicare meglio con i giovani, la famosa Generazione Z?
«Bisogna farli parlare, chiedergli di cosa hanno bisogno. Dentro a una lezione o a un esercizio, spesso si nasconde un silenzio, un’incapacità di comunicare. La gente, in generale, ha paura a dire di non aver capito. E invece bisogna educare i giovani in questo senso. Più si aprono e meno peli sulla lingua avranno. Giusto che vivano nel loro mondo, ma non quando si tratta di crescere e formarsi».
Come suddividi il tuo lavoro di insegnante da quello di content creator?
«Ho dovuto fare una scelta, ovvero non essere più professore full time. Due anni fa ho rinunciato a una parte dello stipendio mettendomi in gioco. Non sarebbe possibile fare il content creator se fossi in classe cinque giorni a settimana. Per quanto riguarda il mio metodo cerco sempre di creare una continuità tra quello che faccio in classe e la fase di montaggio e creazione. Sono un content creator partendo dal mio lavoro di professore».
Cosa servirebbe alla scuola per migliorare?
«Un po’ di coraggio. Gli insegnanti dovrebbe essere liberi di fare davvero il loro mestiere. In Italia ci viene chiesto di seguire un programma e riempire carte. La scuola dovrebbe dire ai prof di prendersi le proprie responsabilità e di lavorare come meglio credono. Altrimenti si crea frustrazione. Servirebbe una scuola più stile Silicon Valley, dove si rischia e si prende l’iniziativa».
Manca poco alla Maturità. Riprendiamo un tuo recente video su La Fisica Che Ci Piace in cui spieghi perché i voti, secondo te, non contano
«Il video è provocatorio: penso che occorra dare un senso ai voti. Quando ero studente il mio prof di disegno, nonostante il mio impegno, non mi ha mai spiegato i 5 che mi dava. Ovviamente nella vita quello che facciamo viene valutato. Ma così come un professore, anche un datore di lavoro dovrebbe spiegare dove un dipendente o un collaboratore sta sbagliando. I voti vanno presi come punti di partenza. E lo stesso vale quando si prende 10. Perché quando si tocca il cielo è pericoloso».
In chiusura vorremmo chiederti cosa credi si debba fare in merito alla salute mentale tra i più giovani
«La scuola deve intervenire. Si parla molto di scuole aperte: perché non investire per far entrare figure nella scuola, come gli psicologi? Il rifiuto di alcuni di andare a scuola è dovuto anche al fatto che i ragazzi non si rilassano. Quel che so, però, è che la scuola cambierà tantissimo nei prossimi anni col digitale. La scuola, bisogna riconoscerlo, sta già guardando a cosa sta succedendo sui contenuti online».