Per la rubrica “Venti di futuro” la storia delle ventiduenni Rebecca Raho, Emanuela Tarasco e Caterina Favella. Insieme hanno fondato la startup Jelter per essere in prima linea nella lotta all’inquinamento che avvelena gli oceani. «La nostra medusa robot raccoglie i frammenti di plastica ed è alimentata a pannelli solari»
Hanno inventato una boa a forma di medusa per ripulire i mari dalle microplastiche. Loro sono tre ragazze, 22 anni a testa, colleghe universitarie che si sono appena diplomate allo Ied, Istituto Europeo di Design di Milano. La loro startup nasce dalla tesi in Product Design. Loro sono Rebecca Raho, Emanuela Tarasco e Caterina Favella e la loro startup si chiama Jelter. Arrivano rispettivamente da Milano, Matera e Vicenza. «Volevamo fare qualcosa contro l’inquinamento e guardavamo al mare. Ci siamo rese conto che tanti sono i progetti dedicati alla plastica, mentre poco avvertito è il tema delle microplastiche. Si tratta infatti di un’emergenza di ampia portata che mette a rischio la salute dell’ambiente e dell’uomo» racconta Caterina.
I micro frammenti di plastica hanno dimensioni comprese tra gli 0,33 e i 5 mm e possono causare conseguenze devastanti per interi ecosistemi. Sono pericolosi per gli animali e per l’uomo. Per 9 mesi le ragazze sono state seguite in Università da esperti e mentori e hanno potuto realizzare l’idea e creare il prototipo. «Abbiamo creato una boa autonoma, autosufficiente e sostenibile, alimentata a pannelli solari, che grazie a un filtro e a una pompa aspira l’acqua e con una retina certificata raccoglie le microplastiche. Il design della boa è ispirato alla medusa, che è un essere vivente indicatore di mare pulito». Il nome Jelter deriva infatti dall’unione di jellyfish e filter (medusa + filtro). Fatto il prototipo, le founder puntano a creare una community e rendere le persone protagoniste.
«Le boe si possono adottate attraverso un’App e grazie a una mappa interattiva si conosce la loro posizione e la quantità di microplastiche filtrata. Questo saà anche il nostro business model. Chi vuole affittare una boa, paga un abbonamento mensile o annuale. La sfida che ci siamo poste è avvicinare le persone all’ecosistema marino in modo creativo e innovativo, puntando a un futuro sostenibile. Il sistema ha un sensore integrato nella boa che permette, a chi lo ha adottato, di tracciare i progressi e condividerli all’interno della prorpio community».
Per autofinanziarsi le founder hanno scelto di partecipare a premi e bandi. Hanno partecipato al premio della Fondazione Francesco Morelli destinato agli studenti che si sono laureati nell’anno e sono in attesa di sapere i risultati. Nell’ambito di COP28, la conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, in programma nei prossimi giorni, le tre ragazze hanno aderito alla call Prototypes for Humanity 2023, rivolta neolaureati di tutte università per soluzioni o progetti innovativi ad impatto sociale. «In base ai risultati capiremo cosa fare in futuro e come continuare nella creazione della nostra impresa». «Quando ho iniziato l’Università non avrei mai immaginato di riuscire a fare qualcosa di cosi concreto e di reale. E sono grata al mio istituto per averci spinto a creare un simile progetto. Abbiamo imparato tantissimo: dall’idea all’impresa. Abbiamo capito come si gestisce un team, come si crea un business model, come si fa un prototipo. Tra noi ci siamo divise i compiti: Rebecca è la Ceo, Emanuela si è occupata del prototipo, io di tutta la parte finance. Fare impresa e al tempo stesso fare qualcosa di utile al Pianeta è l’esperienza più bella che potevamo fare» conclude Caterina.