Intervista a Pierluigi Stefanini, Presidente dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS)
È tuttora in corso, fino al 14 ottobre, a Roma il Festival organizzato dall’ASviS “L’impegno dell’Italia a livello internazionale per una ripresa sostenibile e resiliente”, per la prima volta presieduto da Pierluigi Stefanini. Nella giornata di ieri sono intervenuti – fra gli altri – il Ministro degli Affari Esteri Luigi di Maio e il Ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani. Nel corso dell’evento, l’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS) ha presentato la ricerca sperimentale “SDG20 – La misurazione dello sviluppo sostenibile nei Paesi del G20” realizzata grazie al contributo di A2A e Cibjo (World Jewellery Confederation) – su come e quanto i 20 Paesi più ricchi e sviluppati del mondo stiano rispettando gli impegni assunti sei anni fa, quando le Nazioni Unite vararono l’Agenda 2030. Dall’incontro è emerso che sostenibilità e parità di genere restano due partite aperte, entrambe da giocare in fretta.
Se ne è parlato il 6 ottobre, sempre a Roma, nel panel “Le Imprese di fronte agli obiettivi dell’Agenda 2030: le nuove sfide della regolazione europea e di Next Generation EU”, che ha visto intervenire tra gli altri anche Elena Di Giovanni, Vice Presidente e Co-Fondatrice di Comin & Partners, società di consulenza strategica. “Alla luce della direttiva indicata all’interno del PNRR – ha dichiarato Di Giovanni -, la creazione di un sistema nazionale di certificazione della parità di genere è una delle misure principali della Strategia Nazionale che mira ad assicurare un incremento della partecipazione delle donne nel mercato del lavoro, nonché a ridurre il gender pay gap”. Interagendo quotidianamente con organizzazioni pubbliche e private, infatti, la Vice Presidente di Comin & Partners riscontra come, senza un sistema di misurazione strutturato e trasparente, sia più complesso raggiungere quella condizione di equilibrio non solo auspicata ma anche decisamente vantaggiosa per l’economia. C’è da considerare, infatti, che i sistemi di lavoro più inclusivi mostrano un tasso di ricchezza superiore del +62% (analisi EDGE, Tortuga). Insomma, accelerare su sostenibilità e parità di genere potrebbe far bene alla società nel suo complesso, incluso il portafogli di ciascuno di noi.
L’intervista a Pierluigi Stefanini
StartupItalia ha avuto modo di intervistare il padrone di casa, Pierluigi Stefanini, Presidente dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS) per comprendere a che punto siamo, come Paese, con i temi centrali dell’agenda: sostenibilità e parità di genere.
Stefanini, qual è l’obiettivo della vostra ricerca?
La ricerca, presentata oggi durante il Festival dello Sviluppo sostenibile è stata realizzata con il contributo di A2A e di CIJBO ed è la prima nel suo genere e ancora a carattere sperimentale che ha l’obiettivo di mostrare la situazione dei Paesi del G20 rispetto agli obiettivi dell’Agenda 2030. La complessità rappresenta la sfida più grande nel monitoraggio dell’Agenda 2030.
Un modo insomma per valutare le performances dei Paesi?
Esattamente. In questa prospettiva, gli indicatori compositi di questo documento non rappresentano una semplificazione del problema, ma uno strumento che consente una prima, rapida e sintetica visione delle performances relative a ciascun obiettivo. Questo studio vuole rappresentare una base di partenza per approfondire la misurazione dello sviluppo sostenibile nei Paesi del G20 rendendola costante nel tempo. In quest’ottica, l’ASviS propone che questi avviino un monitoraggio costante ed esaustivo della situazione rispetto agli Obiettivi dell’Agenda 2030, condizione necessaria per favorire il raggiungimento degli SDGs nel contesto internazionale.
Secondo l’indagine, quali sono i settori in cui l’Italia eccelle?
Le valutazioni, effettuate al netto degli effetti della pandemia, vedono l’Italia in vetta alle classifiche negli Obiettivi 3 (Salute e benessere), 7 (Energia pulita ed accessibile) e 12 (Consumo e produzione responsabili). Per quanto riguarda il settore della Salute, l’Italia si attesta al secondo posto, superata solo dall’Australia, grazie ad una situazione migliore della media dei paesi del G20 per tutti gli indicatori considerati, tra cui la speranza di vita (83,3 anni rispetto ad una media di 77,9) e un tasso di mortalità infantile pari a 2,7 morti per mille nati vivi contro l’8,2 medio. Il nostro Paese si trova invece al terzo posto per quel che riguarda il Goal 7, preceduto solo da Brasile e Indonesia, grazie a una migliore quota di rinnovabili sul consumo finale di energia e una migliore intensità energetica rispetto alla media dei paesi analizzati.
E quelli in cui invece è fanalino di coda?
Purtroppo siamo molto indietro rispetto a numerosi settori. Solo per fare alcuni esempi, per il Goal 4 relativo all’Istruzione di qualità ci troviamo in nona posizione a causa della spesa destinata a Ricerca e sviluppo e della quota di persone che usano Internet, con livelli inferiori alla media dei paesi considerati. Lo stesso vale per il Goal 13 (Lotta al cambiamento climatico). L’Italia è in ottava posizione registrando un livello di emissioni dirette minore e un valore delle emissioni indirette maggiore dei rispettivi valori medi. Molto c’è ancora da fare anche sulla parità di genere; anche in questo caso siamo in nona posizione, evidenziando una presenza delle donne nel mondo del lavoro e una quota di donne che fanno uso di metodi contraccettivi moderni inferiore alla media del G20.
Quanto ha inciso la crisi post pandemica sui ritardi dell’Italia e degli altri Paesi del G20 nel raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda 2030?
La crisi sanitaria ha avuto un impatto enorme per tuttti i Paesi, sia da un punto di vista economico sia sotto il profilo sociale. Non è un caso, infatti, che tra i goal maggiormenti colpiti dalla pandemia ritroviamo l’istruzione e il lavoro. In tal senso, le difficoltà derivano soprattutto dalla diminuzione dei redditi, dalla mancanza di tutele per i disoccupati e i lavoratori, e dalle perdite economiche delle attività produttive. Inoltre, la chiusura delle scuole e la sostituzione dell’insegnamento tradizionale con la nuova didattica a distanza, hanno influito non solo sulle modalità di insegnamento dei docenti e di apprendimento degli allievi, ma hanno anche aumentato il livello di diseguaglianze, incrementando gap già esistenti all’interno delle diverse fasce di popolazione a causa della scarsa accessibilità agli strumenti tecnologici.