Abeer Seikaly, una giovane designer di origine giordana e di cittadinanza canadese, sta progettando delle “Weaving Homes”, tende innovative che vogliono migliorare la condizione dei siriani in fuga dalla guerra.
Nel marzo del 2011, i media di tutto il mondo volgevano il loro sguardo verso la Siria per raccontare quella che è diventata una delle guerre più sanguinose degli ultimi anni. Una guerra che, secondo l’Onu, ha già provocato oltre 4 milioni di profughi. Persone costrette ad abbandonare le proprie case per rifugiarsi nei campi profughi in Libano, Giordania, Turchia e in altri paesi confinanti.
Questi rifugi temporanei non sono tutti uguali. Alcuni dispongono di ospedali, scuole, centri di aggregazione e abitazioni solide e accoglienti. Altri, invece, sono poco più che ricoveri di fortuna, composti da una serie di semplici e leggere tende di tela poco adatte a contrastare le escursioni termiche di quei luoghi. Ma sono proprio questi centri ad aver attirato l’attenzione di Abeer Seikaly, una giovane designer di origine giordana e di cittadinanza canadese, che ha deciso di migliorare la condizione dei rifugiati siriani progettando tende innovative e più sicure.
Gli inizi di Weaving Homes
Nel 2013, poco dopo la nascita del primo prototipo, Abeer vince il Lexus Design Award. Un riconoscimento che l’ha aiutata a credere ancora di più nel suo intento, soprattutto dopo che la situazione, nei paesi coinvolti nella “Primavera Araba”, stava velocemente precipitando: «Le condizioni a cui stavamo assistendo, giorno dopo giorno, mi hanno spinto a lavorare ancora più duramente. Ormai era chiaro che le strutture flessibili che stavo costruendo potevano davvero essere usate come tende da portare in quei luoghi».
La tenda di Abeer, alta due metri e larga cinque, è alimentata da energie rinnovabili ed è capace di resistere alle intemperie che possono abbattersi improvvisamente nei campi. Per adattarsi al clima esterno è stato installato un sistema doppio di ventilazione: d’inverno trattiene all’interno il calore mentre d’estate crea un circolo d’aria in grado di combattere il caldo torrido.
Riserve d’acqua ed energia
La struttura, nella parte superiore, è dotata di un sistema di raccolta dell’acqua piovana. Acqua che viene filtrata e immagazzinata in tasche apposite per essere consumata in caso di necessità dai suoi abitanti. In aggiunta si possono installare altri servizi igienici come, ad esempio, delle piccole docce che sfruttano quella stessa riserva accumulata durante le giornate di pioggia.
Per far funzionare tutte le sue componenti, compreso il riscaldamento dell’acqua per le docce, la tenda usa l’energia solare che alcune batterie catturano e conservano. Ma non è finita qui: «Stiamo ancora lavorando per migliorare alcuni suoi parametri e aggiungere ulteriori device. Dovrebbe essere ancora più leggera, avere dimensioni più equilibrate e ricevere tutta l’energia di cui avrebbe bisogno».
Ma già oggi, essendo costituita da un’unica e flessibile struttura, è facile sia smontarla che trasportarla. Il prototipo è stato costruito imitando lo stile delle popolazioni nomadi, abituate a questo tipo di vita e perciò preziose fonti d’ispirazione e imitazione. Il suo aspetto, invece, richiama la pelle dei serpenti del deserto.
Lo sviluppo del progetto
Negli ultimi mesi Abeer ha portato la sua tenda a Londra dove, con alcune collaborazioni importanti, sta completando e migliorando il design e le funzionalità del suo prodotto. Una volta terminato quest’ultimo step arriverà la parte più difficile ovvero trovare un modo per introdurle nei vari campi profughi che accolgono attualmente i siriani in fuga: «Ho ricevuto moltissime mail di persone che vivono in quei paesi. Vogliono sapere quando le Weaving Homes saranno in commercio, quanto costeranno e quando sarà possibile portarle all’interno dei campi». Per ora la risposta è sempre la stessa: la tenda è in via di sviluppo e presto sarà pronta per chi volesse acquistarla o testarla.
«Ogni volta che trovi una soluzione sembra che nascano altri 10 problemi» confida Abeer «Ma non per questo mi perdo d’animo. Ormai siamo arrivati in prossimità della fine». Un traguardo speciale che unisce tecnologia e architettura per raggiungere un nobile scopo: «Ridare dignità a chi l’ha persa a causa di una guerra che non ha voluto».