L’attività teatrale prosegue da circa vent’anni alla Casa di Reclusione Milano – Bollate e diventa un mezzo di rieducazione e libertà di espressione non solo per i detenuti, ma per l’intera comunità. Il progetto nasce con Michelina Capato, regista e coreografa che ha portato il teatro – in particolare il teatro danza – tra le mura delle carceri, sfidando gli stereotipi e i pregiudizi. Oggi Michelina non c’è più, ma i suoi pensieri e la sua dedizione a questa arte sono rimasti ben saldi nella compagnia del carcere di Bollate.
Teatro in carcere: formazione umana e professionale
Sotto la guida di Christian – Direttore artistico della compagnia – e Stefano Pozzato, Presidente e unico ‘laico’ – come si dice in gergo – dell’associazione Prison Art, costituita nel 2020 a opera di alcuni detenuti, la compagnia ha fatto del teatro un modo per esprimersi e per affrontare questioni rilevanti dal punto di vista sociale, per esempio il bullismo grazie allo spettacolo ‘Ci avete rotto il caos’.
L’idea di Michelina era, come sottolinea Christian, di «realizzare una formazione umana e professionale per i detenuti; andare sul palco è il fine ultimo di un lavoro collettivo fatto di tante figure e Michelina cercava di darci una professionalità sotto vari aspetti. Noi siamo gli eredi di questa sua esperienza».
‘Ci avete rotto il caos’
Nonostante la mancanza della loro guida, che ha dovuto abbandonare il progetto a Bollate nel 2018, i membri della compagnia hanno raccolto l’impegno e le conoscenze trasmesse per coltivare l’arte del teatro e hanno convogliato la loro energia nello spettacolo ‘Ci avete rotto il Caos’, che ha debuttato nel 2018 al Piccolo Teatro di Milano e che continua anche oggi ad andare in scena. Spiega Christian: «Non avevamo più una figura di riferimento esterna, ma ci abbiamo provato: abbiamo realizzato noi regia, drammaturgia, scenografia, audio, luci». Bravi? «Bravi a mettere a frutto le conoscenze che ci hanno trasmesso». Lo spettacolo tratta di bullismo, disagio giovanile, disabilità: tanti temi basati su esperienze vissute dai detenuti e tradotte per essere messe in scena”.
Il teatro danza per esprimersi
Gli spettacoli portano sul palco fragilità e forza: danza, recitazione e libertà di espressione in un vortice di emozioni che riguarda tutte e tutti, dal palco alla platea. «La nostra formazione è basata sul teatro danza, perciò principalmente gli spettacoli si basano sul linguaggio del corpo – prosegue Christian – . Tuttavia, abbiamo anche provato del teatro sperimentale e siamo riusciti a integrare anche le immagini video e la parola, che usiamo quando ci serve per aggiungere qualcosa al messaggio che vogliamo trasmettere. Il nostro è un lavoro umile e senza pomposità, apprezzato nell’impegno e nella determinazione con cui lo portiamo avanti».
Teatro in carcere: luogo aperto alla comunità
Ma l’impegno del carcere di Bollate riguarda anche la realizzazione della stessa sala. Dopo il 2018, il teatro era uno spazio privo di attrezzatura. Ecco allora l’idea. Realizzare uno spazio adibito sia a cinema sia a teatro aperto a tutta la comunità. Un modo per abbattere le barriere fisiche e mentali che possono delineare confini tra il carcere e ciò che sta all’esterno, creando uno spazio di condivisione di emozioni e di esperienze.
Come sottolinea Stefano Pozzato, «tutto è fatto in un ambiente vero da persone vere. Spariscono falsità e pregiudizi, ci si sente paradossalmente liberi, senza le tante maschere che spesso si hanno nella vita quotidiana». Nel 2019 nasce così, grazie al progetto Fuori Cinema, la sala che è contemporaneamente cinema e teatro, in collaborazione con il cinema Anteo.
Una rete per abbattere le barriere
La sfida di ristrutturare il teatro, creando uno spazio aperto e condiviso, con il supporto di Anteo, dell’amministrazione penitenziaria e di vari altri soggetti segna anche l’importanza della rete, perché solo facendo rete si vince. «Nascono delle relazioni umane, che sono utili sia per far conoscere la realtà teatrale sia quella carceraria», sottolinea Christian. «Noi crediamo che il teatro sia un mezzo potente per lanciare messaggi, ma il messaggio arriva quando dietro c’è un credo a livello umano».
Una fede laica comune ai detenuti, ma anche a tutti coloro che li sostengono: oltre all’amministrazione penitenziaria, gli educatori e i soggetti esterni, fra i quali appunto il cinema Anteo, ma anche il teatro Elfo Puccini di Milano, anch’esso in rete con vari progetti.
La nascita di Prison Art
Una rete che ha il fulcro nell’associazione Prison Art, costituita proprio in concomitanza con il difficile periodo del Covid. «Abbiamo tenuto duro – ricorda Stefano -. Il lockdown all’interno del carcere ha avuto un forte impatto, ma Christian è riuscito a mantenere il gruppo. Una compagnia che viene a provare sotto spettacolo anche tutti i giorni, fino a tarda sera, magari dopo una giornata lavorativa all’esterno».
Sperimentare nuove immagini di sé
Il teatro, insomma, diventa uno spazio fisico e mentale per sperimentare emozioni e la conoscenza di sé, come racconta Catia Bianchi, educatrice responsabile delle attività culturali all’interno del carcere: «Il teatro dà la possibilità di sperimentarsi in ruoli diversi, in immagini di sé differenti da quelle di provenienza. È una passione che per alcuni assume risvolti professionali, mentre per altri aiuta comunque ad aprire finestre interessanti su di sé grazie alla presenza di un lavoro introspettivo. Inoltre aiuta a relazionarsi».
L’arte teatrale diventa una fetta dell’esperienza educativa, che per alcuni si traduce in una carriera da attore o da tecnico audio luci una volta scontata la pena, per altri termina con la conclusione dell’esperienza detentiva, ma resta comunque un’esperienza formativa che arricchisce per la vita.
Il teatro in carcere come spazio di libertà
Il teatro, però, diventa soprattutto uno spazio di libertà. «Il teatro è privo di sbarre e di conseguenza si perde la sensazione di essere in carcere. Inoltre, è un’esperienza di riscatto, per far vedere una parte di sé diversa da quella legata alle carte», spiega ancora Catia.
Non solo. L’esperienza teatrale, come specifica Christian, diventa «libertà di espressione, di ricerca, di accrescimento senza condizionamento alcuno». Una libertà che trova riscontro nel teatro, ma anche nei vari laboratori presenti nella casa di reclusione di Bollate: scrittura creativa, pittura, meditazione sono solo alcune delle attività attivate che permettono la libertà di espressione e una riconfigurazione dell’immagine di sé differente ed inclusa nella società. E allora Stefano lancia una domanda: «Perché non reinvestire nelle carceri riproponendo il modello di Bollate?».