Il contributo professionale delle donne allo sviluppo economico e tecnologico dell’Italia sta diventando più urgente che mai. Lo ribadisce forte e chiaro l’edizione 2023 dell’Osservatorio Permanente sul Women’s Empowerment curato dall’Ambrosetti Club di The European House-Ambrosetti, primo e prestigioso think tank privato italiano per la consulenza strategica che realizza ricerche di alto livello in Italia e nel mondo.
Fortissimo il dato servito in apertura del rapporto, che disegna prospettive chiave per il futuro: “Chiudere il divario di genere e pareggiare l’occupazione maschile e femminile porterebbe a un impatto economico fino a 11,7 triliardi di dollari nei Paesi del G20 e in Spagna, equivalente al 14% del PIL dell’intero G20. Per raggiungere l’obiettivo del tasso di occupazione, 392,9 milioni di donne dovrebbero trovare impiego”.
I Paesi virtuosi, tra cui l’Italia
Lo studio sottolinea l’urgenza di strategie comuni dei Paesi e delle aziende. Stando al Women’s Empowerment Progress Index 2023 (WEPI), misura che traccia i progressi dei Paesi del G20 e della Spagna in molteplici aree dell’empowerment femminile, la Francia è al primo posto delle buone pratiche, seguita dal Regno Unito e dall’Australia, mentre in fondo alla classifica si piazzano la Turchia, l’Arabia Saudita e l’India. L’Italia perde una posizione rispetto allo scorso anno, ma conquista un dignitoso sesto posto: il nostro paese brilla per il numero di donne nei board delle società quotate, legato sostanzialmente agli effetti della Legge Golfo Mosca sulle quote rosa: si tratta del 42,6% contro la media G20, che è appena del 26,5%. Pessima prestazione, al contrario, sul tasso di partecipazione delle donne nel mondo del lavoro – in Italia è del 56,4% contro la media dei Paesi del G20 che è del 61,4% -, così come rispetto al numero di donne in posizione manageriale: sono il 28,6% del totale, rispetto al 30,9% del G20.
Professioniste italiane: qui cominciano le sofferenze
Lo studio del think tank si serve di una seconda misurazione, l’EU SheWorks Index, creato per monitorare l’accesso delle donne al mercato del lavoro, con un focus sui 27 Paesi dell’Unione Europea e sul Regno Unito. E qui l’Italia brilla al negativo. Se la vetta della classifica dei Paesi best performer è infatti scalata da Svezia, Irlanda e Finlandia, nelle prime tre posizioni, l’Italia è nelle ultime tre, insieme a Grecia e Romania. Secondo l’indice considerato, le donne italiane scontano un numero estremamente elevato di part time involontari, ovvero lavori a tempo parziale che vengono accettati perché ci si sente prive di alternative: sono il 52,6%, contro la media UE del 23%. Pessima la situazione anche sul fronte della conciliazione tra lavoro e famiglia, che è certamente tra le cause scatenanti dei part time involontari: le donne italiane che non hanno un lavoro a causa delle responsabilità di cura verso la famiglia sono ben oltre il doppio della media europea.
Cosa fare?
Secondo il centro studi, in uno scenario segnato da sfide senza precedenti e che hanno implicazioni sulla sostenibilità economica e sociale, a partire dal calo demografico, gli interventi di Governi, aziende, università vanno concentrati in tre aree: equilibrio tra tempi di lavoro e tempi privati, STEM e occupazione femminile, infine sostenibilità e decision making. I Governi dei Paesi vengono sollecitati a stanziare bilanci finalizzati al superamento di tutti i gender gap, a comunicare le politiche di genere messe in campo e monitorarne gli effetti. Le aziende dovrebbero, invece, concentrarsi sulle misure che possono favorire la conciliazione tra i tempi del lavoro e quelli della famiglia delle persone dipendenti e creare un ambiente solidale verso chi, tra loro, ha responsabilità di cura. Infine, scuole e università sono invitate a inserire le materie STEM in tutti i programmi scolastici e accademici, sì anche quelli più umanistici, affinché sia chi studia sia chi già lavora possa più facilmente accedere alle professioni del futuro. Infine, la società tutta deve favorire l’accesso delle donne ai processi decisionali di ogni livello, specie quelli legati alla sostenibilità, per promuovere una transizione più efficace, rapida ed equa verso un futuro sostenibile.