Solo l’11% delle aziende agricole europee è gestito da agricoltori al di sotto dei 40 anni. Convincere i giovani ad avviare un’attività in questo campo è difficile, ma essenziale per migliorare la competitività dell’Europa e garantire l’approvvigionamento alimentare futuro. Una vera sfida, che l’Unione sta cercando di favorire con politiche di sostegno per la generazione dei nuovi agricoltori, ma a cui anche il singolo cittadino può contribuire grazie al web.
La cultura degli aiuti a distanza tramite Rete è infatti sempre più diffusa, anche in settori magari inaspettati, come quello dell’agricoltura: con pochi click oggi si può adottare un contadino e supportarne l’attività. Si chiama “Social farming”: letteralmente significa agricoltura sociale. Di fatto si sostengono i piccoli imprenditori agricoli, difendendo il patrimonio storico delle colture tradizionali e incentivando anche il recupero dei borghi antichi nelle aree rurali. Da Nord a Sud sono nati numerosi esempi e sono tante le opzioni possibili: dall’appoggio a una fattoria all’adozione di animali, arnie o alberi da frutto.
La prima piattaforma di social farming
La prima piattaforma dedicata al social farming in Italia è “Coltivatori di Emozioni”, presente in 17 regioni, con oltre 40 agricoltori aderenti. Un progetto scaturito nel 2016, e attivo dal 2018, dallo spirito di iniziativa dei due founder, Paolo Galloso e Biagio Amantia, originariamente impegnati l’uno nel settore degli agriturismi e l’altro in quello del turismo. «Abbiamo pensato a un modo per sostenere le realtà di piccole dimensioni, intenzionate a intraprendere un percorso a lungo termine, che possa avere poi ricadute benefiche sul territorio e sul tessuto sociale locale», spiega Amantia.
Così è nata anche la partnership con l’associazione “Borghi più belli d’Italia”: «Gli utenti possono supportare le attività dei contadini in zone a rischio spopolamento, attraverso la riscoperta dei prodotti tipici del luogo, diventando “Azionisti della Bellezza e del Gusto”». C’è poi il “Tour delle Emozioni”, organizzato con lo chef Simone Rugiati: un progetto condiviso da ENIT, l’Agenzia Nazionale del Turismo, che vede l’ambassador culinario percorrere la penisola alla scoperta degli agricoltori, che lo stesso cuoco social definisce gli “orafi della terra”.
A tavola i prodotti a chilometro zero
Come funziona esattamente il social farming? Di fatto è uno scambio. Chi adotta a distanza un contadino fa una donazione in ore lavoro destinate alla semina, all’aratura, alla trebbiatura e alla raccolta, scegliendo una delle tradizioni agroalimentari italiane: dal peperone Pontecorvo DOP di Frosinone al Morbidone dell’Oratino, dalla fagiolina del lago Trasimeno al carciofo violetto di Niscemi in Sicilia, passando per il farro di Abbateggio, il giglietto prenestino di Castel San Pietro e i vini di Sambuca di Sicilia. In cambio, l’utente riceverà una fornitura di prodotti a km zero quando sarà il momento. Direttamente dal produttore al consumatore, insomma, senza passaggi per mercati generali e grossisti, in un rapporto sempre più diretto tra città e campagna.
La crescita dei prodotti si può seguire attraverso una webcam e un’app dedicata, mentre il raccolto viene certificato e tracciato fino alla consegna. La food box è accompagnata anche da un certificato di adozione e dagli aggiornamenti sulle attività dell’azienda.
Le storie di social farming
Gli agricoltori da adottare si possono scegliere sulla pagina dedicata del sito di Coltivatori di Emozioni, dove vengono raccontate le storie e i progetti futuri di ognuno. Qualche esempio? «L’azienda agricola Benoni & Memma è con noi fin dall’inizio. Anche grazie all’aiuto degli utenti web è riuscita ad avviare la coltivazione di un uliveto di 3 ettari di superficie e la produzione di olio. In Molise, come in altre parti d’Italia, resistono famiglie come quella di Stefano Benoni che seguono i metodi di una volta, salvaguardando i nostri preziosi tesori agroalimentari e la nostra tradizione», racconta Amantia. Nel vicino Abruzzo c’è invece la Cooperativa Altopiano di Navelli: «In questo borgo sull’Appennino lo zafferano ha trovato il clima perfetto per crescere, assumendo caratteristiche uniche, che hanno portato lo “Zafferano dell’Aquila DOP” ad essere conteso ed apprezzato in tutto il mondo. Un settore produttivo che merita di essere valorizzato per ciò che è stato nel passato, ma anche per il ruolo strategico che avrà per il rilancio dell’altopiano nel presente».
Il social farming che fa bene al territorio
Non solo i singoli cittadini, ma anche le aziende possono donare buoni lavoro del valore di 10 euro destinati alla filiera produttiva o ad altri progetti specifici concordati con la singola realtà agricola. «Un gesto importante nell’ottica delle attività aziendali di sostenibilità ambientale e green marketing. I prodotto agricoli vengono spesso utilizzati anche come regalistica aziendale per dare visibilità a prodotti di qualità, frutto di un’agricoltura sana e sostenibile, che rispetta i cicli naturali e la salute dell’ambiente e del consumatore», conclude il co-founder del portale di social farming.
Una scelta che vuole anche essere un segnale di fiducia e uno stimolo alla ripartenza in questo periodo di pandemia, ancora più difficile per le piccole realtà indebolite dal fenomeno dello spopolamento. Abbandonare le zone rurali per trasferirsi nei grandi centri urbani, facendo venire a mancare attività economiche preziose come l’agricoltura e l’allevamento, significa anche indebolire il territorio, esponendolo a rischi come instabilità idrogeologica, incendi, trascuratezza ambientale. Per questo lo sguardo di speranza di molte persone si rivolge ai nuovi agricoltori che possono cambiare il futuro di queste terre, anche grazie al web.