Nel 2017 sono stati 110 in tutta Italia i depositi finiti in fumo (tossico). Nel 2018, da gennaio a oggi, ben 17 solo in Lombardia, la nuova “terra dei fuochi”
Se li si vuole elencare tutti, è necessario spulciare pazientemente le cronache locali. Pare infatti impossibile ma, per ora, non esiste un database ufficiale degli impianti di stoccaggio dati alle fiamme. Eppure i roghi di rifiuti si moltiplicano. Prima erano un fenomeno tipico del Meridione, della Campania, soprannominata non a caso dai media “terra dei fuochi”. Ora le fiamme si sviluppano sempre più nel Nord d’Italia. Specialmente in Lombardia: nella periferia di Milano divampano a cadenza mensile e sempre più persone hanno paura di respirare pericolosi miasmi tossici.
Gli ultimi due roghi di rifiuti ieri sera
Gli ultimi due roghi di rifiuti proprio nel Milanese, quasi in contemporanea, ieri notte. Il primo è divampato poco dopo le 20:30 di domenica nella ditta di stoccaggio e lavorazione di rifiuti IPB, in via Dante Chiasserini, a Quarto Oggiaro.
Sei ore dopo ad andare in fiamme è stata la ditta Ri.Eco che lavora plastica e carta a Novate Milanese. Su entrambi indagano gli inquirenti e, al momento, la pista dolosa non risulta ancora esclusa. Naturalmente, alcuni roghi possono essere casuali, altri dovuti all’errore umano. Ma, per la legge dei grandi numeri, tra tutti questi incendi è plausibile che ci siano anche quelli imputabili alla criminalità organizzata. E i numeri, appunto, stanno davvero diventando grandi. Sono ben 17 gli incendi divampati in Lombardia da gennaio a ottobre. Eppure, si diceva, non esiste uno storico ufficiale dei roghi di rifiuti e ciò rende più difficile intravedere in filigrana eventuali disegni criminali.
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Che i roghi di rifiuti non siano un fenomeno casuale, magari legato a scintille che scoppiano per negligenza o imperizia nei depositi, oppure dovuto all’autocombustione (ancora più difficile da credere) ce lo dicono i dati: gli incendi si verificano quasi sempre di notte, quando i depositi sono meno presidiati e per le autorità è più difficile raccogliere testimonianze. Il solo report che ha avuto cura di elencare quelli dell’anno passato è stato redatto da Legambiente, che ha anche mappato ciascun episodio, qui riproposto con una grafica ancora più eloquente.
Un caso su due finisce nel cestino
Come si vede dalla mappa dei roghi di rifiuti, non c’è più parte d’Italia in cui non divampino. Ma, soprattutto, si evidenzia qualcosa che finora la politica ha provato a negare: ovvero che il fenomeno anno dopo anno stia interessando con sempre maggior frequenza il Nord d’Italia. Questo perché è la criminalità organizzata a essersi ormai trasferita al Settentrione, esportando il proprio modus operandi malavitoso.
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Non solo: i dati del report di Legambiente, tratti dalle risultanze della Commissione di inchiesta rifiuti messa in piedi nella passata legislatura (dati comunque parziali poiché si fermano ad agosto 2017) evidenziano come quasi il 50% delle indagini avviate dalle procure sia contro ignoti e un ulteriore 50% delle indagini venga archiviato. Insomma, 1 caso su 2 finisce nel cestino. E di quel 50% che sopravvive, solo il 13% avvia procedimenti penali.
Perché i roghi di rifiuti convengono alle ecomafie
Insomma, è evidente che dietro i roghi di rifiuti ci sia la mano nera dell’ecomafia. Lo stesso procuratore della direzione investigativa antimafia, esperto in crimini ambientali, Roberto Pennisi ha dichiarato: “Le imprese che trattano rifiuti hanno interesse ad acquisirne il più possibile, perché più acquisiscono, più aumentano gli introiti. Oggi in Italia c’è una gestione dei rifiuti deviata, in cui la regola è questa: il rifiuto meno lo tocchi più guadagni. Ragione per la quale l’interesse di chi ha acquisito i rifiuti sarebbe quello di portare tutto in discarica”. Fare tutto a regola d’arte, però, comporta trattamenti e, dunque, costi: “per evitare di toccare questi rifiuti tante volte arriva il benedetto fuoco. Quello che brucia va in fumo e il fumo non si tocca più”.