In occasione del mese che celebra la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne il Gruppo Mediobanca, tra le iniziative intraprese, ha organizzato il seminario “La palestra dell’autostima” dedicato alle donne del Gruppo per supportare le partecipanti a lavorare su autostima ed empowerment attraverso l’utilizzo di alcune tecniche di autodifesa. Mentor della giornata Gabrielle Fellus, istruttrice e ideatrice dell’associazione “I Respect”, unica donna in Italia ad aver raggiunto il livello Expert di Krav Maga.
Accogliendole nella sua famosa palestra milanese, Gabrielle Fellus ha così introdotto le nuove allieve al concetto di rispetto verso se stesse- prima arma di difesa personale ed elemento cruciale nella prevenzione della violenza fisica e psicologica in contesti personali e professionali.
Una pratica che si rivolge anche a uomini e adolescenti, spingendo a rafforzare il proprio percepito per reagire con consapevolezza e prontezza alle varie forme di soprusi fisici, sessuali e psicologici.
L’iniziativa si inserisce all’interno di “Focus on Respect”, un percorso intrapreso in azienda per promuovere la cultura del rispetto in ogni sua forma e per contrastare la violenza di genere.
Startupitalia ha incontrato ed intervistato Gabrielle Fellus, specializzata anche nell’insegnamento a minori e persone con disabilità, oltre che autrice del libro “La palestra dell’autostima” (Sonzogno).
Possiamo indurre gli altri a rispettarci imparando, innanzitutto, a pretenderlo, il rispetto. Ma impariamo a pretenderlo soltanto se ci riconosciamo valore, la famosa autostima. In caso contrario saranno gli altri a decidere quando attribuircelo, il rispetto, e noi vivremo la scomodissima situazione di essere in balia loro e dei loro attacchi. Questa, in sintesi, la sua posizione. Gabrielle Fellus, come usare la leva del rispetto per smarcarci dalle situazioni che producono comportamenti aggressivi nei nostri confronti?
È ben diversa un’aggressione fisica subita all’aperto e da uno sconosciuto rispetto all’aggressione verbale commessa, in casa propria o sul luogo di lavoro. Nel primo caso, devo imparare le mosse per salvare la pelle e mettermi in salvo; nel secondo, devo lavorare esattamente sul rispetto. Devo imparare a distinguere bene quando mi viene riconosciuto rispetto e quando no, devo riconoscere con consapevolezza quando l’atteggiamento o la parola destinati a me da un collega mi offendono e perciò non voglio più che si ripetano, devo anche diventare consapevole che me lo merito quel rispetto e allenarmi a pretenderlo. L’autostima è il primo mattone del rispetto, perché solo se sappiamo di valere sentiamo di meritarci quel rispetto.
Ci sono strumenti che possono aiutarci ad allenare la nostra capacità di pretendere rispetto?
Il primo passo è concepire che ogni essere umano – dunque anche noi – ha il diritto a uno spazio inviolabile. Si tratta, anzitutto, di uno spazio fisico. Ciascuno può individuare il proprio stendendo all’infuori le due braccia e disegnando con la punta delle dita un cerchio intorno a sé: ebbene, questo è lo spazio fisico che, a meno che non lo desideriamo noi, nessuno ha il diritto di violare. Naturalmente, è anche uno spazio metaforico: sta a significare che, usando come perno la nostra persona, dobbiamo costruire intorno a noi uno spazio di rispetto e fare in modo che gli altri – il nostro partner, i figli, i colleghi, le persone in genere – non lo violino mai. Costruire intorno a se stessi la zona inviolabile del rispetto è la prima forma di difesa.
A quel punto, come si tengono le persone a quella distanza che impedisce loro di attaccarci?
Io credo che già essere consapevoli dell’inviolabilità del nostro essere ci restituisce una forza, perché ci aiuta a metterci nelle condizioni di non crollare davanti ai giudizi o agli attacchi. Direi anche che ci consente di anticipare la nostra difesa, vale a dire di guardare da fuori quanto sta accadendo e valutarlo con lucidità, per individuare il modo migliore di rispondere. Ci sono due strumenti potenti che il nostro corpo ci mette a disposizione: lo sguardo e la voce. Nei miei corsi insegno a fare di sguardo e voce i propri migliori alleati, ad abituarsi a tenere lo sguardo alto, la voce sostenuta. Lo sappiamo bene: le persone che hanno una bassa stima di sé tendono ad abbassare lo sguardo, così come a tenere un tono della voce sommesso. Invece, quando una persona tira fuori la forza dello sguardo e della voce ha già fatto moltissimo per sé.
Sta dicendo che la nostra forza è spesso sminuita dai limiti che noi stessi ci poniamo?
Sì, dovremmo imparare a fare lo sforzo di valicarli, i nostri limiti: in fondo nessuno di noi sa bene fin dove è in grado di spingersi, perché ci fermiamo prima di scoprirlo, ci autolimitiamo. Ma sminuire un nostro valore ci mette nelle condizioni di essere attaccati più facilmente: quando si pensa di non valere abbastanza si finisce per attirare gli attacchi, perché è molto più facile attaccare un debole e, una volta attaccati, se non si ha stima e rispetto di sé si rischia persino di pensare che in qualche modo lo si è meritato. Se non si interrompe questo loop si corre il pericolo di entrare in un circolo vizioso da cui sarà sempre più difficile liberarsi, perché si darà all’aggressore una seconda occasione, e poi una terza…
Chi sono le persone da tenere fuori dal nostro cerchio vitale?
Possiamo cominciare con l’individuare le persone che al momento ci procurano malessere, perché ci svalutano, ci trattano con sufficienza, ci denigrano, ci attaccano, palesemente o meno: si tratta insomma di quelle persone che non possiamo certo escludere dalla nostra vita, ma dal nostro cerchio del rispetto sì. Filtrare è, del resto, uno dei cardini nell’operatività di chi lavora sulla sicurezza.
Ha appena parlato di attacchi palesi o meno. Ci sono attacchi che feriscono profondamente il valore di una persona, la stima che ha di sé. Sono attacchi verbali svalutativi, di sufficienza, denigratori e spesso ambigui, non diretti. A volte è la battuta, la frase buttata lì quasi come fosse uno scherzo innocuo…
Ci sono frasi apparentemente lievi, battute, parole scherzose che in realtà riescono a minare l’autostima delle persone. Chi le pronuncia le minimizza, accompagnandole sovente con espressioni come “ma perché te la prendi così tanto?! era solo una battuta”. La violenza verbale si nutre di queste ambiguità. Nella memoria di molti di noi ci sono ferite dell’infanzia aperte da bulli che offendevano, appunto, attraverso battute che erano battute solo per loro, perché per noi erano fucilate. La costruzione dell’autostima passa anche attraverso il riconoscimento di queste formule subdole di offesa, attraverso la loro stigmatizzazione, il fermo contrasto a chi le pronuncia. Possiamo imparare a dire con fermezza “Con le tue parole mi hai chiaramente offeso”, “Quanto hai pronunciato non è una battuta, ma un’offesa: ti chiedo di non dirlo più”.
Nel 2021, in occasione della Giornata della lotta alla violenza di genere, istituita dall’Organizzazione delle Nazioni Unite, l’Associazione Nazionale Atlete ha prodotto un video molto interessante, che si chiama Più forte della violenza, io mi rialzo: mentre sfilano immagini di donne impegnate in competizioni sportive e in gesti atletici bellissimi (si tuffano, sferrano colpi, giocano a calcio…), passa questo messaggio: “Puoi colpirmi con le tue parole, puoi ferirmi con i tuoi sguardi. Puoi uccidermi con il tuo odio. Eppure io, come l’aria, ancora mi rialzerò”. Lo sport dà forza, audacia e insegna anche a non chiudersi mai nel ruolo della vittima. Cosa ne pensa?
Nella mia palestra, vedo con i miei occhi persone che, via via che si allenano, rimangono esterrefatte di se stesse e di quanto riescono a fare. E sì, certamente, lo sport insegna a uscire da ogni vittimismo. Chi ha subito violenza deve elaborare un’esperienza drammatica, profondamente dolorosa, e però io credo che affrontare i percorsi senza sentirsi vittime ma, anzi, uscendo consapevolmente da quella dimensione aiuti ad affrontare con maggiore coraggio e fiducia le conseguenze dei traumi.