Il Politecnico di Milano ripensa gli spazi del carcere attraverso il progetto ‘Laboratorio Carcere’, un percorso di ricerca che prosegue dal 2014 con l’obiettivo di rendere più funzionali gli spazi delle strutture penitenziarie e di favorire la ricostruzione dei legami interrotti tra gli autori di reato e la società.
I problemi degli spazi del carcere, tra sovraffollamento e isolamento sociale
Il problema degli spazi in carcere riguarda differenti aspetti: il sovraffollamento e il frequente isolamento dalla società sono solo alcuni esempi. Se con la sentenza Torreggiani dell’8 gennaio 2013 la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato l’Italia per violazione dell’articolo 3 della Convenzione Europea per i Diritti Umani, che sancisce il divieto di tortura o trattamento disumano e degradante, la lontananza dei detenuti dal corpo sociale si traduce spesso in stereotipi e pregiudizi, con il rischio di culminare in comportamenti discriminatori o addirittura nell’infraumanizzazione, considerando meno ‘umani’ gli autori di reato.
La necessità di ripensare gli spazi, fisici e simbolici
Il Politecnico di Milano (dipartimenti di Architettura e Studi Urbani DAStU, DESIGN e dipartimento di Elettronica Informazione e Bioingegneria DEIB) sta affrontando una vera e propria emergenza civile, che coinvolge i diritti umani delle persone, con un percorso di ricerca volto a un cambiamento che abbraccia non solo gli spazi fisici ma anche quelli della relazione e della risocializzazione. Commenta il prof. Andrea Di Franco, del dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico milanese: “Il carcere è costituito essenzialmente di spazi pensati per il controllo, il contenimento e la movimentazione di un gran numero di persone, divisi per categorie, in base al grado di sicurezza che deve essere applicata, legata al reato per il quale si è condannati e anche per permettere il contenimento di soggetti pericolosi per sé o per gli altri detenuti. Sovrapposta a questa logica, si è fatta strada sempre più chiaramente la necessità di rendere le strutture adatte a permettere alle persone detenute di svolgere delle attività il più possibile simili a quelle svolte fuori: lavorare, fare movimento, incontrare le loro famiglie e i loro amici, studiare, et cetera. Tutte queste attività possono essere raccolte entro le pratiche risocializzanti”. Il ripensamento degli spazi fisici e simbolici è dunque fondamentale per una società inclusiva e più ‘umana’. Sottolinea Di Franco: “Rendere le strutture adatte a questa organizzazione di una vita ‘normale’ conduce le persone detenute a compiere il percorso di crescita di cui necessitano, assumendosi le responsabilità delle loro scelte. In tal modo il carcere si pone in linea con il dettato costituzionale che ne definisce il ruolo. Dunque, è necessario un progetto di modificazione e riappropriazione degli spazi, spesso già disponibili ma non utilizzati, un progetto che comprenda anche il pensiero per nuove pratiche e nuovi usi”.
“Rendere le strutture adatte a questa organizzazione di una vita ‘normale’ conduce le persone detenute a compiere il percorso di crescita di cui necessitano, assumendosi le responsabilità delle loro scelte”
L’architettura in carcere: la strada del Politecnico
Una questione complessa, che dovrebbe coinvolgere più attori – come università, professionisti e istituzioni – nella definizione delle strategie da mettere in atto per superare le criticità e restituire dignità e legami interrotti ai detenuti. Spiega il prof. Di Franco: “Le strategie riguardano la possibilità di attivare una visione per la modificazione delle strutture esistenti e di fare accedere il progetto di architettura entro il recinto carcerario. Questo significa far dialogare gli organi e gli uffici tecnici che si devono occupare dello spazio all’interno del Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria con il mondo del progetto di architettura. Il dialogo dovrebbe avvenire su base regionale – attraverso i provveditorati – e giungere ai singoli istituti. Il nostro gruppo di ricerca sta percorrendo questa strada attraverso l’ente universitario Politecnico, ma il processo dovrebbe includere anche il mondo dei professionisti, magari attivando dei concorsi di architettura che prevedano il coinvolgimento di tutti gli attori in gioco, interni ed esterni all’amministrazione penitenziaria”.
Gli spazi di relazione creati dal Politecnico
Il fulcro del tema è chiaro: gli spazi delle strutture di detenzione devono diventare spazi di relazione che connettano gli autori di reato fra loro, con le loro famiglie ma anche con la società. In tal senso, i progetti messi in atto dal Politecnico sono numerosi e coinvolgono gli spazi fisici che diventano anche luoghi mentali, di costruzione dell’identità e di ricostruzione dei legami. Un esempio di notevole rilevanza è la Casetta Rossa, al carcere di Milano Bollate: un padiglione in legno ideato per l’incontro tra detenuti e figli. Una zona realizzata grazie alla collaborazione degli autori di reato, degli agenti della Polizia penitenziaria, degli studenti e dei professori di architettura del Politecnico di Milano. Nella Casetta Rosa i bimbi possono giocare con serenità insieme ai genitori ed ecco che un luogo fisico si trasforma in uno spazio dedicato all’affettività. Da citare anche l’Agorà, un sistema di ombreggiamento in legno sempre al carcere di Milano Bollate pensato per favorire in modo confortevole la relazione tra detenuti e familiari ma anche fra gli stessi autori di reato. Anche in questo caso un luogo fisico diventa uno spazio simbolico, che favorisce legami, relazione e confronto, così come l’anello per la corsa, che apre due varchi per unire le aree passeggio. La ricerca è orientata anche nella realizzazione di spazi architettonici e delle attrezzature utili alla pratica di attività sportive. Lo sport anche in questo caso diventa mezzo per creare relazione e benessere. Relazioni che sono create anche grazie alla profonda collaborazione tra chi abita gli spazi del carcere: detenuti, agenti, operatori amministrativi e delle associazioni del terzo settore.
Quando gli spazi ricostruiscono i legami
L’impatto di questi progetti è altamente positivo. Commenta il prof. Di Franco: “Le persone detenute che hanno partecipato ai processi di progettazione e realizzazione hanno manifestato il loro entusiasmo e lavorato con passione. Sicuramente le occasioni di progetto e realizzazione di cambiamenti delle strutture determinano un’esperienza di grande valore, sia per i detenuti sia per il personale dell’istituto. In merito ai familiari, da un’osservazione dall’esterno dei luoghi frequentati, credo si possa dire che lo spazio incontri arricchito dei nuovi oggetti permetta un’esperienza di maggiore accoglienza. I nuovi spazi sportivi (corsa, pallacanestro e pallavolo al femminile) – molto frequentati – permettono una vita più sana ed esprimono il valore che l’istituzione assegna alle persone detenute”.
Off Campus San Vittore: quando la ricerca crea un ponte tra carcere e società
Il dialogo creato tra il mondo della ricerca e della pena diventa allora prioritario per costruire attraverso la collaborazione un ponte verso la società, che ha il suo fulcro ancora una volta negli spazi fisici che diventano luoghi simbolici, dove si intrecciano relazioni e legami. Con questa idea nasce Off Campus San Vittore, alla casa circondariale Francesco Di Cataldo, in piazza Gaetano Filangieri a Milano. Off Campus San Vittore è il terzo spazio che fa parte della più ampia iniziativa ‘Off Campus – il cantiere per le Periferie’, promossa da Polisocial – il programma di responsabilità sociale del Politecnico di Milano. Inaugurato lo scorso ottobre, Off Campus San Vittore ha l’obiettivo di avvicinare il carcere alla città. Le attività previste sono molteplici: laboratori, attività di ricerca sulla relazione tra carcere e città ma anche sulla qualità degli spazi nei luoghi di reclusione, la raccolta di storie di vita per far conoscere la realtà carceraria e seminari aperti alla città. Off Campus San Vittore lavora in sinergia con il Dipartimento di Architettura e Studi Urbani, il Dipartimento di Design e il Dipartimento di Ingegneria gestionale del Politecnico di Milano. Inoltre, è attiva una collaborazione con l’Università Bocconi e l’Università Bicocca per la realizzazione di una clinica legale all’interno dello spazio.
Verso una società più inclusiva: favorire le relazioni per diminuire i pregiudizi
Una vera e propria rete per supportare i detenuti e creare legami con la città. Commenta il prof. Di Franco: “L’impatto sulla città si spera sia di maggiore partecipazione attiva sia dal carcere verso l’esterno sia viceversa. Per partecipazione attiva intendo conoscere a fondo le problematiche reciproche e lavorare insieme per risolverle, gradualmente. Pregiudizi e stereotipi, nel caso del carcere come di qualsiasi altra condizione, nascono dalla mancanza di conoscenza diretta e profonda. Chi ha la possibilità di vedere da vicino e capire davvero le condizioni delle persone diventa sempre un prezioso alleato, che sia un cittadino che vede il carcerato, che sia un detenuto che conosce davvero una vittima di reato. Le istituzioni, compresa l’università, devono aiutare i due fronti a mettersi in relazione e sostenersi reciprocamente”.
“Pregiudizi e stereotipi, nel caso del carcere come di qualsiasi altra condizione, nascono dalla mancanza di conoscenza diretta e profonda”
Il tema dei luoghi di detenzione e dello scambio di opportunità e risorse che può essere messo in atto, attraverso gli spazi architettonici, tra cittadini, istituzioni, autori di reato diventa allora una questione di responsabilità sociale. Come sosteneva lo psicologo Gordon Willard Allport, il contatto è la strategia migliore per ridurre stereotipi e pregiudizi ed è favorito da quattro condizioni fra le quali la conoscenza reciproca, gli obiettivi comuni e il supporto istituzionale rivestono un ruolo fondamentale. La strada del Politecnico guarda esattamente verso questa direzione: favorire il contatto e le relazioni per diminuire i pregiudizi e creare davvero una società inclusiva.