Già prima di cominciare, i Giochi Olimpici di Parigi 2024 (dal 26 luglio all’11 agosto) hanno in tasca un primato: saranno le prime Olimpiadi della storia a raggiungere la completa parità di genere sul piano numerico. Dei 10.500 atleti che parteciperanno ai Giochi, infatti, 5250 sono uomini e 5250 donne. La sera del 26 luglio, una donna e un uomo – la schermitrice Arianna Errigo e l’altista Gianmarco Tamberi – porteranno la bandiera italiana nella cerimonia di inaugurazione, che peraltro, anch’essa per la prima volta, non si svolgerà dentro uno stadio, bensì lungo un fiume, la Senna.
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Sono le Olimpiadi dell’empowerment femminile
Parigi 2024 punta sull’emancipazione piena delle ragazze e delle donne già dal simbolo dei suoi Giochi, che rappresenta, stilizzato, il volto della Marianne, icona della Repubblica e dei suoi valori di libertà, fraternità, uguaglianza. Per dire al mondo, poi, che lo sport è la via maestra per azzerare ingiustizie e disparità tra i generi, il tragitto della Maratona – la gara regina – è stato disegnato ispirandosi alla Marcia delle donne del 5 ottobre 1789, quando qualche migliaio di donne marciò su Versailles, episodio clou della Rivoluzione francese. Una settantina di strutture sportive francesi, poi, hanno deciso di cambiarsi il nome e di darsi quello di una donna illustre, rimontando un distacco imbarazzante, visto che prima della rinomina appena l’1% dei luoghi dello sport portava un nome femminile.
La prima donna che osò assistere dagli spalti…
Considerato che nei Giochi olimpici antichi alle donne era vietato addirittura entrare negli stadi come spettatrici e che, parecchi secoli dopo, il padre delle Olimpiadi moderne, Pierre De Coubertin, ancora riteneva che le donne potessero, al massimo, incoronare gli atleti («Il vero eroe olimpico ai miei occhi è l’individuo maschio adulto», diceva), la storia olimpica è puntellata da battaglie per i diritti, conquiste, svolte epocali che atlete e appassionate hanno portato avanti in prima persona e con audacia incredibile. La prima donna in assoluto che osò assistere dagli spalti a una competizione era una madre. Si chiamava Callipatera e nei Giochi Olimpici antichi (quinto secolo avanti Cristo), per poter vedere la gara del figlio Pisidoras – che lei allenava -, si travestì da uomo. Fu scoperta e addirittura condannata a morte, salvo essere poi graziata per rispetto a suo marito.
… e la prima che osò correre (infiltrandosi)
Ancora Atene, ancora un’altra madre. È il 1896, questa volta si giocano le prime Olimpiadi moderne e Stamàta Revithi, che ha trascorsi nella corsa ed è una mamma disoccupata in cerca di riscatto, si infiltra nella Maratona. Le verrà negata la gloria di correre gli ultimi metri dentro lo stadio (la maratona femminile è entrata alle Olimpiadi soltanto nel 1984, un secolo dopo), ma passerà alla storia per essere stata la primissima donna a mettere letteralmente piede in una gara olimpica.
La lunga marcia di tutte le altre
Le prime Olimpiadi femminilisi tennero a Parigi nel 1922, due anni prima dei Giochi Olimpici ufficiali (e dunque di fatto maschili), grazie all’ennesima indomita atleta che si mise in testa di sgretolare i recinti. Alice Milliat – canoista, nuotatrice, femminista e dirigente sportiva – non riusciva proprio a digerire la barriera alzata dal Comitato Olimpico contro le atlete e riuscì a montare un’organizzazione internazionale in qualche modo alternativa. «Il Comitato olimpico non vuole le donne? (…) Potevamo forse piegarci all’indifferenza o all’ostilità dei dirigenti maschi? Questo atteggiamento non sarebbe stato degno delle atlete che siamo. Abbiamo dunque raccolto la sfida e poiché non ci hanno volute dimostreremo che siamo capaci di guidare il nostro destino». Così Milliat disse e fece, aprendo degli incredibili Jeux Olympiques Féminins allo Stadio Pershing del Bois de Vincennes, fuori Parigi, e segnando un prima e un dopo quello storico evento internazionale che costruì con altre dirigenti europee di tempra e visione come lei.
Se per le atlete è disdicevole sudare
Le donne scavarono spazi per loro un’Olimpiade alla volta, e qualche volta furono fatte indietreggiare. Vedi le Olimpiadi di Amsterdam del 1928, quando fu consentito alle donne di gareggiare nei 100 e negli 800 metri, nella staffetta 4×100, nel salto in alto e nel lancio del disco. Ma visto lo spettacolo – giudicato sconveniente – offerto dalle atlete degli 800 metri che arrivavano al traguardo affaticate e molto sudate, la gara fu bandita e riammessa solo ai Giochi di Roma del 1960. Nel 1979, la Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna delle Nazioni Unite (CEDAW) sancì il pieno diritto delle donne allo sport. Da allora, il movimento delle atlete ha vissuto una poderosa progressione: se alle Olimpiadi di Tokyo del 1964 le donne erano solo il 13% degli atleti, a quelle di Los Angeles 1984 diventarono il 23%, a Rio 2016 il 45%, a Tokyo 2020 furono in sostanziale parità con gli uomini.
Cinque cerchi di separazione
Nel libro Cinque cerchi di separazione, Storie di barriere di genere infrante nello sport l’autore, Federico Greco, ripercorre la sudatissima progressione femminile dentro l’agonismo, individuando i 5 gap ancora aperti. Il primo è quello della maternità, che ostacola i progressi delle donne nello sport come sul lavoro in generale; il secondo quello che legge molti sport contrari alla cosiddetta essenza della femminilità; il terzo quello del… ridicolo: nell’immaginario di tantissimi e tantissime ancora, ridicole sono le donne che giocano a calcio, per esempio, o che fanno pugilato e, comunque, sempre meno brave degli uomini. Il quarto divario è quello che non riconosce alle atlete diritti, stipendio, carriera, sponsor pari a quelli degli uomini. Infine, la rappresentanza nei luoghi che contano: le vette degli organismi sportivi rimangono sostanzialmente in mani maschili. Prendi il Comitato Olimpico Internazionale: al momento tra 147 membri, le donne sono solo 47. E nell’Unione Europea appena 4 dei 27 presidenti dei comitati olimpici nazionali erano donne nel 2023.
Certo, chiediamocelo: la parità numerica porta parità effettiva? Non si sa: l’efficacia netta, sul terreno, del cinquanta e cinquanta è ancora tutto da dimostrare. Ma puntare a mettersi a pari nei numeri in un evento che coinvolgerà il pianeta è già un fatto e un messaggio di portata storica, una vittoria, la prima di questi Giochi a giorni al debutto. Non viene mai citato un altro gap di sostanza: quello tra allenatori e allenatrici. Alle ultime Olimpiadi di Tokyo 2020 la percentuale di allenatrici era il 13%. Questa estate, a Parigi, si stima che le allenatrici saranno il 25%.