C’è un metro che svela in maniera schietta il grado di parità di genere di un Paese: l’autonomia economica delle donne. E svela che dove le donne contano su un reddito da lavoro e risorse finanziarie proprie il gap si restringe. Lo dice anche un recente studio dell’OCSE: le donne con un reddito indipendente partecipano alla vita sociale e politica in misura maggiore di chi un reddito non ce l’ha. Lo dice anche uno studio dell’Istituto Europeo per l’uguaglianza di genere: nei Paesi con maggiore occupazione delle donne – e quindi maggior reddito nelle loro mani – ci sono livelli di parità più alti in termini di accesso alla salute, all’istruzione, alla cultura, alla politica.
Libertà di scelta e controllo sulla propria vita
Ma che l’indipendenza economica sia un prerequisito della parità di genere lo dice chi, in prima persona, l’ha sperimentata e acquisita come modello di vita: l’indipendenza economica aumenta la libertà di scelta, il controllo sulla propria esistenza, il potere decisionale nelle relazioni e dentro i matrimoni, il distacco dalla dipendenza altrui. Fa muovere, crescere, costruire futuro. Contare su denaro proprio crea empowerment: aumenta la percezione del proprio valore, dà più consapevolezza di sé. Al contrario, le donne che non posseggono denaro proprio sono le più fragili e ricattabili, e le più esposte alla violenza economica e fisica nella coppia: se non si hanno soldi non si hanno alternative a una relazione abusante, le minacce di separazione sono destinate a cadere nel vuoto, fuggire dai pericoli risulta difficilissimo.
Gli uomini gestiscono il denaro
Certifica l’Istat che il 40% delle italiane tra i 25 e i 64 anni non ha autonomia economica. E comunque, anche quando ne dispongono, le donne continuano ad avere un rapporto molto complesso con il denaro. Secondo una ricerca di Episteme il 60% delega volontariamente la gestione economica al partner e il 40% si limita a gestire solo le spese quotidiane, ovvero supermercato e giù di lì, accettando – è la conclusione della ricerca – credenze assai stereotipate secondo cui sia l’uomo a doversi occupare delle questioni economiche “alte”. Dice la tanta letteratura sul tema che le donne non possiedono la stessa competenza in materia finanziaria degli uomini, la stessa loro sicurezza nel maneggiare denaro e la fiducia nell’imparare a farlo, la stessa assertività nel parlarne e nel chiederne: del resto i dipartimenti Risorse Umane di piccole e grandi imprese conoscono bene la difficoltà o l’impaccio delle dipendenti nell’avanzare richieste di aumenti di stipendio e riconoscimenti di carriera, che risultano molto più naturali ai colleghi.
Il peso diretto degli stereotipi
Ci sono ricerche, ormai diffuse, che rivelano quanto sia l’essere esposte sin da bambine ai pregiudizi e agli stereotipi di genere – ovvero le caratteristiche che la società attribuisce ai maschi piuttosto che alle femmine – a intrappolare, poi, ragazze e donne adulte in un rapporto complicato con i soldi. Si parte con la matematica e i numeri, sin dalle scuole elementari: la stessa Banca d’Italia, nel commentare l’ultima indagine OCSE-PISA svolta tra i quindicenni di 20 Paesi si era detta preoccupata, visto che è emerso che “il divario di genere rispetto al livello di conoscenza della matematica in media è pari a 5 punti: in Italia questa differenza sale a 16 punti ed è crescente dalla scuola primaria alle classi successive. Tra gli altri risultati, si evidenzia come nel nostro Paese le donne mostrino un livello di ansia maggiore nei confronti della matematica. Dalla matematica alla cultura finanziaria il passo è breve”. L’indagine OCSE-PISA mostra per tutti i Paesi coinvolti un nesso tra il livello di conoscenze nell’una e nell’altra materia e rileva che la stessa ansia o sottostima delle proprie capacità espressa dalle ragazze nei confronti della matematica si ritrova nei confronti della gestione dei soldi, materia percepita anche’essa come più maschile e scarsamente attrattiva.
E che questa divisione dei compiti e delle competenze ormai normalizzata sia alla base dei gap di genere anche in materia finanziaria è stata confermata da un interessante progetto di ricerca sperimentale dell’Università Cattolica di Milano che, attraverso il metodo scientifico, ha dimostrato per la prima volta in Italia il nesso causa-effetto tra gli stereotipi di genere e il modo differente in cui gli uomini e le donne percepiscono il denaro e lo gestiscono. E quanto potentemente agiscano gli stereotipi lo rileva lo stesso progetto accademico, che ha messo in luce il dato incredibile secondo cui persino le donne laureate in Economia pensano di sapere meno degli uomini con il medesimo titolo.
Come superare il divario
Per vincere gli stereotipi di genere e la loro normalizzazione servono profondi cambiamenti culturali che, però, hanno tempi lunghissimi, ma certamente la scuola è il luogo di elezione per accendere le scintille del cambiamento. Quest’anno l’educazione finanziaria è stata inserita tra le materia curriculari, all’interno dell’educazione civica. È solo il primo passo, ma è un passo importantissimo. Ne ha bisogno il Paese intero: l’Italia è fanalino di coda in fatto di preparazione finanziaria degli adulti tra i Paesi OCSE, indipendentemente dal genere di appartenenza. Bassissime, inadeguate risultano, infatti, dal rapporto le conoscenze degli italiani tutti. Nel suo ultimo studio triennale datato proprio 2023, la Banca d’Italia ha registrato un piccolo miglioramento: nel 2023 l’indicatore complessivo di alfabetizzazione finanziaria è risultato pari a 10,6 su una scala da 0 a 20; nel 2020 era 10,2. Ancora troppo poco per un Paese che, per PIL, è l’ottava potenza del mondo.