Può essere molto, molto difficile trovare la voce dopo una violenza, ancor più lo è trovare le parole giuste per raccontarla, la violenza, specie se si è giovanissime, e perciò con forze non sempre adeguate per comprendere, reagire, farsi valere. Ma non può esserci altra via che “fare rumore”: «I miei silenzi non mi hanno protetta. Il tuo silenzio non ti proteggerà», scrive a proposito la poetessa Audre Lorde. Fai rumore, nove storie per osare (editrice Il Castoro) è proprio il titolo di un libro a fumetti, bellissimo, le cui giovani protagoniste (ma c’è anche un ragazzo) riescono a dire no a molestie, abusi, aggressioni verbali e a superarle proprio grazie al fatto che riescono, ciascuna a suo modo, a farle uscire da sé e a raccontarle. Il libro, scritto e illustrato a più mani e con la prefazione di Jennifer Guerra, è costruito in collaborazione con Moleste, collettivo per la parità di genere nel fumetto costituito da fumettiste, sceneggiatrici, disegnatrici, giornaliste, traduttrici con l’obiettivo di contrastare abusi e discriminazioni nel loro ambito professionale. Incontriamo la sceneggiatrice e founder Francesca Torre, che nella raccolta di graphic novel è autrice della storia Due di una.
Francesca, partiamo da voi, da Moleste. Perché avete deciso di unirvi, peraltro sotto un nome che è una sorta di manifesto?
Perché, qualche tempo fa, sui social s’era cominciato a commentare casi di ricatti, molestie, discriminazioni sessiste nel mondo del fumetto, specie internazionale, e circolavano commenti che smentivano episodi analoghi nel nostro Paese: “Chi sta dentro il fumetto sa che non è vero!”, affermavano con forza alcune voci. Così io scrissi un articolo che faceva oggettivamente il punto sulla situazione, esplicitando che, invece, episodi di sessimo, anche gravi, si verificano, eccome. L’articolo ha richiamato l’attenzione di diverse fumettiste, intenzionate a dare seguito alla mia denuncia. Così dall’indignazione siamo passate alla costruzione, ed è nato Moleste, un collettivo di autrici che lavorano nel mondo del fumetto e che vogliono essere un elemento di disturbo – da qui il nome, Moleste – in un mondo che fa cose bellissime, ma non riesce ancora a tenere fuori il sessismo.
Voi puntate a convincere chi è vittima di abusi e discriminazioni a fare rumore. Un’espressione vitale, un invito attivo, che gli adolescenti possono interpretare con chiavi molto individuali.
Fare rumore per noi significa compiere un gesto di rottura, rompere l’equilibrio, l’omertà, la rassegnazione, la vergogna, la paura e osare una reazione. Non è un gesto facile da compiere dopo che si è subito una violenza, un abuso, ma è l’unica strada. E presuppone ci sia una comunità pronta a raccogliere quel gesto e a mettersi in ascolto senza giudicare: nel nostro modo di vedere, tutti hanno la responsabilità di ascoltare e di essere di supporto.
E a proposito, c’è una frase molto toccante che tu inserisci nella storia che hai sceneggiato, storia che la fumettista La Tram ha illustrato e che racconta del riscatto di una ragazza che supera una relazione sentimentale abusante anche contando sugli altri. Dice: “Nessuno può farlo per te, ma tu non devi farlo da sola”.
Si tratta di un invito duplice. Un invito a chi legge ad alzarsi e a prendere la decisione di cambiare le cose quando non stanno più bene: i tempi sono tuoi – è il messaggio -, i modi sono tuoi, ma quando decidi, ecco, in quel momento c’è, accanto a te, la comunità in costruzione di cui si parlava prima che è pronta a darti sostegno. L’invito che il fumetto rivolge a chi legge è, dunque, anche di collaborare a costruirla questa comunità che ascolta e sorregge chi ha deciso di fare rumore
Si capisce che volete cambiare anche la narrazione dominante sulle vittime di violenza. Le vostre storie sono tutte segnate da un finale positivo, dove le protagoniste dell’aggressione finiscono, ciascuna a suo modo, per superarla. Ma si intuisce che puntate a fare di più.
È così. Tendenzialmente, i media trattano le vittime schiacciandole su ruoli stereotipati e, in questo modo, ne spersonalizzano l’esperienza individuale. Nella narrazione che ne fanno i media, le vittime di violenza sono ridotte a diventare tutte uguali, tutte ugualmente vinte, passive, rassegnate al dolore. Chi si comporta diversamente da queste attesa, diventa sospetta. Ricorderemo tutti le polemiche seguite qualche mese fa alla notizia della ragazza che denuncia di essere stata violentata da un gruppo e il giorno successivo esce in windsurf. Perché quell’ostilità pubblica contro la ragazza? Come se non fosse naturale e ammissibile reagire anche in quel modo. Nelle storie che abbiamo raccontato in Fai rumore, invece, abbiamo intenzionalmente fatto emergere vissuti, reazioni, sviluppi differenti, perché ogni individuo è diverso dall’altro: questo, secondo noi, produce l’identificazione di chi legge nei personaggi, perché intuisce che tra le storie che legge ci può essere anche la sua. E può essere spinto a farla uscire fuori.
Body shaming, cat calling, slut shaming, gaslighting… Nel linguaggio anglosassone, e dunque nel linguaggio universale, questi termini definiscono, ovunque, forme di molestie molto precise. Nella lingua italiana non esiste nulla di questo, e ciò rende impossibile riconoscere cosa è una molestia, il che è il primo passo per combatterla. Cosa pensi?
Se non c’è un termine per definire un comportamento è un po’ come se non esistesse. È un fatto oggettivo che nel nostro Paese si tenda molto a svalutare le molestie di genere: un apprezzamento pesante sul piano sessuale rivolto a una donna che sta camminando lungo la strada non è sempre percepito come una molestia, ma come un complimento, semmai un po’ pesante. Noi di Moleste sentiamo il bisogno di spiegare, attraverso il fumetto, che non tutte le donne vogliono essere approcciate in questo modo e che queste donne pongono, ribellandosi, un’istanza di parità. E sì – per tornare alla domanda – certamente non avere dei termini per nominare con chiarezza le diverse tipologie di molestie rende più difficile riconoscerle, e dunque, contrastarle. Le parole legittimano.
Tra le storie di ragazze del fumetto, c’è anche quella di un ragazzo, segno che la parità di genere non è più un tema di donne. È così?
Sì, viene deriso e umiliato perché non è allineato a una certa idea di maschio forte e macho, e perciò è anche vittima di dinamiche di gruppo ostili. Nella storia emergono, però, anche maschi molto positivi, e questo è un tratto nuovo, anche nella società. Nei festival in cui abbiamo presentato il libro, i ragazzi hanno fatto molte domande da cui si capisce che sono anche loro interessati a mettere in discussione i ruoli di genere stereotipati. Alcuni hanno dato vita a un acceso dibattito sulla mascolinità: si chiedevano perché alcuni sport vengano considerati come solo femminili, perché la socialità maschile aperta alle ragazze sia tendenzialmente percepita in chiave sessuale, perché il pianto sia un comportamento che non ci si attende da un uomo…. Dopo i festival, presto porteremo le nostre storie nelle scuole: noi siamo felici di avere creato uno strumento che porti a tutti l’attenzione sull’equità di genere, adesso lo strumento va usato.