Millennial e Gen Zeta sono le generazioni più istruite e preparate che il nostro Paese abbia mai avuto, le sole con le attitudini e le competenze adatte a navigare nel futuro, qualunque cosa significherà la parola futuro. Chi ha figli venti-trentenni ne conosce l’entusiasmo tumultuoso, il senso della giustizia, l’istinto verso la meritocrazia.
Chi, nelle aziende, segue le loro azioni con sguardo privo di pregiudizi ne intende la mente sveglissima e acuta come un punteruolo: sa quanto sanno andare veloci, leggere in simultanea gli eventi, costruire soluzioni collettive, intravvedere ciò che non si è ancora composto, attraversare una mutazione epocale di cui noi abbiamo terrore e loro, invece, se ne sentono nativi.
Boomers, Millennial e Gen Zeta
Ma Millennial e Gen Zeta sono anche le prime generazioni a essere più povere e disilluse di chi li ha preceduti. Economisti e scienziati sociali stanno da tempo spiegando quanto questa battuta d’arresto generazionale si rifletta su tutte le altre e, più in grande, sull’intero sistema, mettendo il freno a natalità, crescita economica, progresso sociale.
Ripetono che ignorare i venti-trentenni – invece di investire su di loro e spianargli quelle autostrade verso il futuro che, spingendo avanti loro, spingerebbero avanti noi, l’economia, il Paese – è un errore a cui si deve necessariamente mettere riparo. Ma se a parole siamo tutti fan del patto tra le generazioni, lo smentiamo, poi, nei fatti. Così Millennial e Gen Zeta spariscono puntualmente dalle intenzioni dei decisori, dai disegni economici di breve o lungo termine che siano, da qualunque piano si generi nei luoghi che decidono in nome del futuro.
Una questione che riguarda tutti
Ci stiamo giocando un patrimonio immenso. Siglare un patto vero tra le generazioni è necessario e urgente, in primo luogo per mettere fine alla precarietà lavorativa di ragazzi e ragazze. Che i giovani guardino finalmente con ottimismo al futuro dovrebbe essere una preoccupazione condivisa: tocca ai più adulti, a chi è arrivato prima, a chi gode oggi i privilegi – meritati – costruiti su uno sviluppo ora ferito dare una scossa a un Paese da sempre abituato a decidere per rimbalzi, sull’onda dell’emergenza, e porre sul tavolo con urgenza assoluta la questione generazionale nel solo modo possibile: ovvero non come un problema “dei giovani”, ma un problema di tutti gli italiani.