Tredici mila chilometri, 37 località visitate, 33 giorni di viaggio: sono i numeri dell’ultima “Route 21 Chromosome”, il tour da Nord a Sud Italia che ogni anno Gian Piero Papasodero organizza a bordo della sua Harley Davidson Ultra Limited 107 per i ragazzi disabili e per i soggetti più fragili. Papasodero, 47 anni, ex campione di football, da qualche hanno ha dato vita all’associazione Diversa Mente con sede a Verona. E’ lì che è nata l’idea di compiere un viaggio attraverso l’Italia per i ragazzi down. Il nome dell’evento è ispirato alla Route 66, la famosa autostrada lunga 3945 chilometri che taglia gli Stati Uniti: un viaggio in totale libertà.
Quando un giro in Harley può cambiare la vita
All’ultimo “giro” ha partecipato alla staffetta anche un ragazzo autistico verbale che per anni è stato bullizzato da un gruppetto di studenti nella sua vecchia scuola. Una triste storia conclusa con il tentativo di suicidarsi. Ma a cambiare la vita di quel ragazzo ci ha pensato la Harley: la prima volta fuori casa, per quattro giorni, lui e Papasodero. Una vittoria. Con lui altri sette giovani hanno accompagnato Papasodero in questo tour tra le montagne di Bolzano, le rovine di Amatrice e i tornanti della costiera Amalfitana. Tutti con il loro giubbotto di pelle come dei veri motociclisti e l’emozione di lasciare casa per la prima volta da soli. Un’esperienza unica nel suo genere che mette in gioco la solidarietà visto che Papasodero non chiede alcun contributo alle famiglie, ma mette in campo soprattutto le risorse che questi ragazzi hanno e che non sempre vengono portate alla luce.
Un’idea per giudicare in modo nuovo anche i motociclisti, a volte visti come un po’ rudi a bordo delle loro “ belve”. Diversa Mente è stata capace di unire queste sinergie e di andare alla ricerca di famiglie che hanno bisogno di intercettare questo progetto.
A raccontare il tutto una pagina Facebook, immagini e video che hanno immortalato la storia di questo tour fatto per respirare la libertà.
Abbiamo intervistato l’ex campione di football per saperne di più.
Quando ha avuto questa idea?
“Nel 2015 ho deciso di dar vita a un’associazione che si occupa di ragazzi disabili creando dei progetti in cui questi giovani hanno modo di misurarsi con la vita reale. La Route 21 è un viaggio in cui questi ragazzi di mettono in gioco e soltanto valutando la normalità di questi ragazzi ci si rende conto dello sforzo che devono fare per vivere una vita come tutti gli altri”
Come definirebbe la Route21?
“La Route 21 è un invito a percorrere un pezzo di strada. In cinque anni abbiamo messo insieme qualcosa di veramente bello: è un giro di un mese che si regge sull’autofinanziamento. Tutti possono partecipare offrendo dalla notte in albergo, alla donazione materiale. I ragazzi si alternano a staffetta”.
Che sentimenti si provano a viaggiare con questi giovani disabili?
“Le emozioni che lasciano vanno ricercate in tutti coloro che hanno avuto modo di accogliere questi ragazzi: colpisce la loro normalità. Il fatto di vederli nel contesto dei motociclisti, trattati in maniera normale, li si vede interagire come tutti noi. Tendenzialmente i ragazzi nei centri diurni usano dei protocolli che prevedono lo stesso trattamento prescindendo dalle loro caratteristiche personali, dalle loro aspirazioni. La Route 21 è stata concepita affinché i ragazzi non sappiano l’itinerario e possano avere a che fare con la scoperta. Si viaggia in modo che vi siano dei momenti di solitudine oppure certe sere siamo a cena con un amico o con una famiglia. Spesso andiamo a incontrare delle realtà che lavorano con la disabilità, a noi piace molto il confronto. Ciò che facciamo è senza sconti per i ragazzi che sono parte attiva del viaggio”
Viene messa in gioco la loro autonomia.
“Loro sono responsabili del loro bagaglio, della loro cura personale. Non abbiamo mai saltato una tappa. Abbiamo viaggiato con pioggia, vento. Mediamente quasi tutti fanno la stessa quantità di giorni e un percorso di 1200 chilometri. Lo scorso anno un ragazzo ha fatto Salerno- Siracusa dalla mattina alla sera, con un temporale di mezzo, ma non ci siamo mai fermati. Un viaggio del genere non è mai stato pensato prima ed è la cosa più pericolosa e vera che questi ragazzi possano fare. Mentre in un centro protetto gli ambienti sono ultra controllati e il fattore imprevisto è limitato al minimo, andare in moto per strade e autostrade per tutta Italia è la cosa più pericolosa che possano fare. Si vedono dei ragazzi che vogliono vivere la vita come la viviamo noi, sono i cronisti del loro viaggio”.