L’ultima in ordine di tempo, Vera, 37 anni, due figlie, è stata accoltellata dall’ex, domenica 20 novembre, insieme all’uomo con cui stava cominciando una nuova vita. È la centesima donna che viene uccisa quest’anno da un marito, un amante, un ex compagno. Nel 2021 sono state 106, una strage, che uno studio creativo, lo studio Atlantis di Bologna, ha appena rappresentato nell’Atlante dei Femminicidi, la prima carta interattiva italiana dedicata alle donne uccise e oramai riconosciuta come una sorta di spoon river italiana (il progetto sarà presentato nei prossimi giorni). Sulla cartina italiana, 106 pallini indicano la località dove ciascuna di loro è stata accoltellata, soffocata, bruciata. Il colore del pallino indica la relazione che aveva con il suo assassino: rosso per il partner, arancione per l’ex, i più numerosi; il giallo indica, invece, un parente, il verde un conoscente. Un asterisco segnala, poi, se la vittima aveva già subito violenze e le aveva denunciate. Non c’è un’area d’Italia estranea alla strage, come non c’è eccezione alla trama di ciascun omicidio: lei ha pagato con la vita il fatto di aver detto no, di essere andata via, a un certo punto, di aver sognato di ricominciare con un altro, di essersi ribellata.
Un riflesso della nostra storia
Nessuno può più pensare che siano solo le vittime di una violenza personale, privata, occasionale. La violenza sulle donne è sì la manifestazione criminale dei singoli, di quegli uomini lì, proprio quelli che hanno alzato il coltello o infierito con le botte. Ma è prima di tutto la conseguenza, estrema, di un problema strutturale, il riflesso di un sistema sociale e culturale in cui i modelli di comportamento, il linguaggio condiviso, gli schemi educativi continuano a replicare l’asimmetria tra i generi, una condizione diseguale dove un genere predomina e l’altro è costretto a una cangiante gamma di subalternità. La violenza di genere è un riflesso della nostra storia, bisogna riflettere su questo, e non lo si fa a sufficienza. Solo fino a quarant’anni fa rapire e violentare una donna era permesso dalla legge se poi la si sposava e uccidere la moglie, la figlia, la sorella quando era stata infedele procurava all’assassino un consistente sconto della pena, perché aveva ucciso per difendere l’onorabilità sua, e della famiglia. Matrimonio riparatore e delitto d’onore sono stati aboliti solo nel 1981: fa grande impressione ricordarlo, accadeva appena ieri, in Italia.
Indicare come radice profonda della violenza di genere le diffuse e persistenti disuguaglianze di educazione, di stipendio, di distribuzione delle faccende di casa, di potere economico, di opportunità di lavoro eccetera espone ad accuse – lo sappiamo – di manicheismo. Si dice: e cosa c’entrano mai gli uomini violenti con il fatto che ai ragazzini si chieda poco di sparecchiare la tavola mentre alle sorelle sì o che nella vita adulta, quando arrivano i figli, sia di regola la madre a rinunciare a lavorare, rinunciando per sempre anche alla sua autonomia economica? Assistiamo a una distribuzione spudoratamente asimmetrica del potere (in Italia fatti 100 gli amministratori delegati, appena 2 sono donne), ma cosa c’entra anche questa disparità con le violenze?
Tutte queste asimmetrie – che sono molteplici, diffuse, radicate – c’entrano. C’entrano nel senso che sono ormai parte di noi, le abbiamo dentro, e perciò le viviamo come scontate, evidenti, quasi naturali. Normali
C’entra. Tutte queste asimmetrie – che sono molteplici, diffuse, radicate – c’entrano. C’entrano nel senso che sono ormai parte di noi, le abbiamo dentro, e perciò le viviamo come scontate, evidenti, quasi naturali. Normali. La potenza degli squilibri di genere, la ragione per cui resistono da sempre è proprio la loro assoluta normalità. Quando la subalternità di un genere rispetto all’altro è normalità, allora punire le donne che si ribellano, colpendole, può parere a qualcuno inevitabile: accade specie se non si ha una gestione equilibrata degli impulsi, se si è incapaci di fronteggiare le complessità, se si è cresciuti con padri brutali e madri succubi, se si prende l’amore per possesso e la libertà altrui per minaccia. Quando il predominio di una parte sull’altra è l’assoluta normalità, la violenza resta sempre un’opzione esercitabile, in ogni sua forma, anche su chi non si ribella. Violenza sessuale, verbale, psicologica, economica. Ricatti sessuali, molestie per strada, ingiurie sessiste. Dice l’Istat che in Italia il 31,5% delle donne ha subito nel corso della sua vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale. Un’enormità.
Oggi si parlerà e scriverà ovunque e molto di violenza sulle donne, di come prevenirla, punirla, fermarla. La sfida è, prima e dopo questa giornata, costruire consapevolezza – in famiglia, a scuola, nei luoghi di lavoro, in quelli della politica – sugli squilibri e le discriminazioni di genere che agiscono sottotraccia e si infiltrano nella quotidianità. E mettere in discussione quella percepita normalità che ce li fa credere inevitabili, persino accettabili, scoraggiando ogni cambiamento.