Sociologa, futurista, fondatrice della società di consulenza Generation Mover, studia da tempo con metodo come impattano i cambiamenti sociali sulle organizzazioni e il mondo del lavoro e, soprattutto, le opportunità e i rischi della società multigenerazionale e il suo ruolo nel disegnare i futuri possibili. Isabella Pierantoni è stata, tra l’altro, speaker all’incontro Futuro, le generazioni si incontrano, organizzato dal Gruppo Mediobanca, che ha avuto tra i protagonisti lo scrittore Gianrico Carofiglio e la figlia Giorgia, autori del libro di successo L’ora del caffè. Manuale di conversazione per generazioni incompatibili (Einaudi).
Perché applicare i filtri generazionali aiuta a prendere decisioni adeguate per il futuro?
Perché ogni generazione è portatrice di fermenti e cambiamenti capaci di mutare i contesti nel tempo: dunque, una chiave per comprendere i futuri che stanno arrivando è osservare oggi le generazioni più giovani, ovvero gli adulti di domani. Cosa fanno, cosa amano, a cosa aspirano. Abitudini, idee, valori. Del resto, il nostro stesso presente è frutto di scelte di chi è venuto prima e ha assunto una serie di decisioni anche in base ai contesti epocali che ha vissuto quando era piccolo.
Come si forma, secondo la sociologia, una generazione?
Le generazioni rappresentano le identità collettive di gruppi di individui che hanno attraversato lo stesso periodo storico nel momento formativo della preadolescenza e dell’adolescenza. Se quando avevo otto-dieci anni guardavo la tv al bar del paese perché nelle case non era ancora arrivata e da lì ho ammirato l’impresa del primo uomo che metteva piede sulla luna o, invece, avevo già due genitori che lavoravano e la sera a tavola si parlava solo di austerity e disoccupazione, ecco, probabilmente mi sarò fatto idee del mondo che sono diverse. E, una volta adulto, metterò in atto comportamenti e decisioni che sono in qualche modo la naturale conseguenza anche di questo. Naturalmente ho citato la crescita di un baby boomer, nato tra il 1946 e il 1964, il periodo più espansivo sul piano economico e demografico, e di un esponente della Generazione X, anni 1965-1980, segnati da austerity e terrorismo.
Può dare un esempio molto sintetico di piccoli comportamenti quotidiani che nella professione differenziano le generazioni al punto da renderle distanti e, magari, reciprocamente ostili?
Sentirsi più o meno liberi di dare del tu a una persona più adulta, lavorare con la porta dell’ufficio chiusa agli altri piuttosto che aperta… Le manifestazioni sono davvero molteplici. A me, però, piace ricordare come la visione e la gestione del tempo abbia segnato – e continui a farlo – le persone nelle generazioni. Un ventenne che comincia un messaggio o una email in maniera secca, entrando subito in argomento rischia di essere percepito come un maleducato da un individuo più grande, il quale, invece, aprirà la comunicazione con il preambolo cortese e formale del “Come sta?” o “Spero stia bene”. Ma il ragazzo non è maleducato: sta mettendo in atto i suoi codici di ottimizzazione del tempo. Il suo pensiero è: non rubo tempo più del necessario, se poi ci resterà spazio entreremo in conversazione. Sono stati i Millennial a cambiare le regole: loro, che hanno imparato sin da piccoli a ottimizzare il proprio tempo, ne hanno poi addirittura fatto un elemento di trattativa aziendale. Chi li ha preceduti – la Generazione X – aveva capito che il lavoro non è la vita e che, il tempo, non poteva prenderselo tutto. Chi è venuto dopo – la Generazione Zeta – dà entrambi i concetti per scontati.
Perché lei accompagna alla lettura generazionale della società i mega trend demografici?
Perché, in sintesi, che vi siano più o meno persone di una certa generazione sul pianeta condiziona la realtà dell’intero genere umano, su una pluralità di livelli, compresi quelli di sostenibilità. Sto pensando – per citare un aspetto tra i più interessanti – che oggi la maggior parte delle energie giovanili, quelle tendenzialmente più trasformative, sono concentrate nel Sud del mondo, mentre sopra l’Equatore la popolazione invecchia e i giovani si diradano.
A proposito di energie giovanili trasformative, qual è stata la generazione che più di tutte ha impattato sulla società?
Certamente, quella dei Baby boomer: hanno davvero rivoluzionato gli equilibri dello status quo. Pensiamo alle donne: sono state le prime a mettere in discussione l’identificazione con il ruolo domestico, a rifiutare la cucina, a cercare una realizzazione fuori, nella professione. Con le fortissime trasformazioni sociali, economiche, culturali che ne sono discese. E credo che siamo al cospetto di una generazione, la Zeta, che ha grosse chance di impattare, anch’essa, in maniera molto decisa. A mio parere, se riceve il giusto supporto, questi giovani potrebbero davvero saper creare le opportunità di cui il mondo ha bisogno e minimizzare i rischi che ci attendono. Sono diventati grandi durante una pandemia, hanno già vissuto due crisi economiche, hanno sperimentato un livello di solitudine altissima. Sono la prima generazione consapevole di essere a rischio.
Di loro ha detto che, tra i molteplici segni, sono una generazione con un senso di futuro legato alla sopravvivenza individuale e collettiva, che hanno senso di realtà e concretezza molto forte.
Aggiungo che questa generazione avrà a disposizione risorse economiche su cui la precedente – i Millennial – non ha potuto contare, perché erediteranno i capitali dai loro nonni, i Baby boomer, l’ultima generazione abbiente e che ha potuto realizzare risparmi.
Cosa risponde a quanti contestano che la chiave di lettura generazionale costruisce generalizzazioni che rischiano di creare visioni stereotipate delle generazioni?
Anzitutto, è importante dire che la lettura generazionale è una tra le chiavi di lettura del mondo: non è la pietra filosofale, ma di sicuro non può più mancare nell’interpretazione della realtà attuale e dei futuri che stanno arrivando. Quanto al pericolo che si generino stereotipi, credo che il rischio sia alto. Noi non dobbiamo affatto alimentare stereotipi, ragione per cui sono profondamente convinta che su questo aspetto si debba ancora molto lavorare e fare cultura. Infine, mi lasci dire: quando parliamo di generazioni parliamo di ampissimi gruppi di persone che si riconoscono in certi comportamenti, visioni, valori…. I singoli individui rappresentano poi, ciascuno, la propria singolare dimensione, giustamente. Porto un esempio molto semplice per chiarire: siccome io sono cuspide tra la generazione dei Baby Boomer e la X, riconosco i pantaloni a zampa, ma questo non vuol dire che mi piacciano. Anzi, io li ho sempre odiati!