L’attesa sentenza dei giudici del Lussemburgo dopo una causa spagnola: “Il servizio di trasporto costituisce la componente fondamentale” del business del colosso californiano
La storia è sempre quella: piattaforma digitale o servizio di trasporto? Software o hardware? App o motori? Per la Corta di Giustizia dell’Unione Europea Uber, l’app per chiamare una vettura con autista, si configura più come una società che offre servizi di mobilità che servizi digitali.
La sentenza
La storia della sentenza è piuttosto lunga. Nel 2014 un sindacato di tassisti di Barcellona, l’Asociación Profesional Elite Taxi, aveva fatto causa alla società californiana per concorrenza sleale, come capitato d’altronde ai quattro angoli d’Europa. Dopo la causa le attività spagnole di Uber erano state sospese (si continua solo con Uber Eats e solo a Madrid). La difesa è più o meno sempre la stessa: “Siamo intermediari, non datori di lavoro. Mettiamo in contatto autisti e chi ha bisogno di un trasferimento” dice l’azienda. Negli Stati Uniti di casi simili ce ne sono stati diversi, finiti anche a vantaggio degli autisti. In Europa esistono d’altronde restrizioni o divieti praticamente dappertutto tranne che in Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Romania.
Alla decisione della Corte continentale si è arrivati per chiarire il presupposto di fondo, che è appunto quello di capire se si tratti di una piattaforma digitale o di un’azienda di trasporti. Fra l’altro, la causa originaria ruotava intorno al servizio UberPop, da tempo vietato in Italia dopo una sentenza del Tribunale di Milano. “Da una prospettiva economica il servizio di trasporto costituisce la componente principale, mentre quello di connettere le persone e gli autisti con un’app rimane secondaria” si legge nel dispositivo, che ha accolto le richieste dell’avvocatura generale della Corte.
Cosa cambia?
Cosa può cambiare nell’immediato? Secondo Uber, che d’altronde almeno in Europa ha pian piano cambiato approccio cercando vie di mezzo e confronto politico nonostante la strenua opposizione delle auto bianche e gialle, poco o nulla. “Questa sentenza non comporterà cambiamenti nella maggior parte dei paesi dell’Ue dove già siamo presenti e in cui operiamo in base alla legge sui trasporti” ha spiegato una portavoce, spiegando che proseguirà “il dialogo con le città di tutta Europa con l’obiettivo di garantire a tutti un servizio affidabile a portata di clic”.
Nella realtà gli Stati membri hanno ora una linea chiara su come inquadrare Uber e come normarla, cioè a quali leggi di settore sottoporla. Anche sotto il profilo occupazionale, visto che secondo la sentenza “Uber esercita anche un’influenza determinante sulle condizioni della prestazione dei conducenti” (vedi alla voce Londra). Chi si oppone all’applicazione e a tutte quelle simili ha dunque un’arma in più, visto che il documento toglie il servizio dalla copertura della direttiva sul commercio elettronico.
Le parole dei giudici
Se mai non fosse chiaro, le parole dei giudici del Lussemburgo fugano ogni dubbio: “Quel che rileva in relazione a Uber è che essa non può essere considerata una piattaforma di car-pooling. Nell’ambito della piattaforma in esame, infatti, i conducenti offrono ai passeggeri un servizio di trasporto verso una destinazione scelta dall’utente e percepiscono, per tale ragione, a titolo di corrispettivo, un importo che supera ampiamente il semplice rimborso delle spese sostenute. Si tratta quindi di un classico servizio di trasporto”.