Fondata a Chicago, ha investito su una piattaforma per l’economia circolare
In una recente intervista al suo fondatore Garry Cooper Jr, l’attività di Rheaply è stata descritta partendo da un caso concreto. Quante volte durante un trasloco o poco prima di lavori di demolizione vengono buttati via elementi di arredo? Questa startup con sede a Chicago ha realizzato un business model in grado di favorire il riutilizzo non soltanto di mobili ed elementi di design, ma di tutta una serie di altri prodotti che altrimenti sarebbero destinati alla discarica. Con un peso non indifferente sull’ambiente in termini di spreco. Rheaply ha appena comunicato ad Axios la chiusura di un aumento di capitale da 20 milioni di dollari.
In base ai dati riferiti da Cooper, la piattaforma di Rheaply è al momento utilizzata da 50mila utenti, da numerose aziende e Big Tech (compare Google) e università (come il Mit di Boston), dove per esempio gli studenti e i docenti possono riutilizzare materiali e prodotti da laboratorio. Nelle ore in cui ha inizio il Salone del Mobile a Milano, dove si parlerà ancora della necessaria transizione al green, la notizia riguardante l’aumento di capitale di Rheaply è un segnale del fatto che l’ecosistema startup è ricco di soluzioni alla portata.
In particolare modo è il campo dell’edilizia quello su cui Cooper ha deciso di puntare, per ridurre le emissioni. Secondo i dati citati nell’intervista il settore delle costruzioni è responsabile del 40% delle emissioni di CO2 in alcuni paesi come la Gran Bretagna. L’altro aspetto interessante della startup riguarda la sua presenza sul territorio, a fianco delle comunità: quando infatti è in programma la demolizione di un edificio, Rheaply organizza un inventario di tutti gli elementi presenti, piano per piano, che vengono poi lasciati alla città, reimpiegati in altri complessi. Questo perché la startup non è un marketplace stile ecommerce con spedizioni tra uno Stato e l’altro. Dal momento che l’obiettivo è quello di ridurre l’impronta ambientale delle attività di tutti, è fondamentale che gli oggetti recuperati (c’è davvero di tutto: dalle opere d’arte a elementi d’acciaio) non alimentino una logistica inquinante.