La malattia da virus di Marburg, conosciuta anche come “febbre emorragica di Marburg” è tornata anche in Europa dopo anni in cui non si registravano più casi. A contrarla, due passeggeri tedeschi che sono scesi alla stazione di Amburgo. Pertanto, la polizia federale tedesca, come segnalato dalla Bild, ha isolato i binari 7 e 8 per diverse ore. Paragonata all’Ebola, secondo quanto si apprende dal Centre of International Disease americano per il controllo e la prevenzione, questa malattia comporterebbe una forte febbre emorragica rara che può causare gravi malattie e portare persino alla morte. Ma dove e come si può contrarre il virus?
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Dove si può contrarre il virus Marburg?
Sempre secondo il Centre of International Disease, in Ruanda il virus Marburg ha coinvolto già 26 persone, di cui 8 sono decedute. E i due ragazzi isolati alla stazione di Amburgo venivano proprio dal Ruanda. Secondo le linee dell’OMS, che nei giorni scorsi ha ricevuto una notifica dalle autorità del Paese africano, proprio in Ruanda è scattato l’allarme legato al virus. Ma non è solo in Ruanda che si può contrarre la malattia, ma nell’Africa centrale. Ecco uno storico, apparso sul sito del Centre of International Disease, dei Paesi dove, secondo le rilevazioni, è stato sinora segnalato il contagio.
Lo scorso anno a registrare i principali focolai di virus Marberg sono state, soprattutto, la Tanzania e la Guinea Equatoriale, considerate tra le mete turistiche africane più apprezzate dai viaggiatori. Ecco di seguito un paio di cartine apparse sul sito del Centre of International Disease per capire dove è stato registrato il virus.
Come si manifesta il virus Marburg?
Secondo le linee guida del Centre of International Disease, la malattia da virus Marburg, al pari di ebola, è caratterizzata soprattutto dalle manifestazioni emorragiche che possono comportare un’alta letalità dell’infezione, tra il 24% e l’88% dei casi. Viene trasmessa inizialmente da alcune specie di pipistrello portatrici del virus, ma successivamente, il contagio può avvenire da una persona all’altra attraverso il contatto con fluidi corporei o con il contatto con superfici contaminate. Non ci sono attualmente cure specifiche o vaccini per prevenirla.
Il periodo di incubazione, generalmente, ha una durata di 5- 10 giorni, ma sono anche stati osservati periodi dai 2 ai 21 giorni. L’esordio della malattia è improvviso con sintomi e segni non specifici come febbre alta (39-40 °C), grave cefalea, brividi, malessere e dolori muscolari. A distanza di tre giorni dall’esordio possono comparire crampi e dolori addominali, nausea, vomito e diarrea che può durare anche per una settimana. Dal quinto al settimo giorno possono apparire un rash maculopapulare e il quadro clinico può aggravarsi con la comparsa di manifestazioni della febbre emorragica quali petecchie, emorragie mucosali e gastrointestinali, e sanguinamento dai siti di prelievo venoso. Successivamente possono manifestarsi anche sintomi e segni neurologici (disorientamento, agitazione, convulsioni e stato comatoso). Entro una settimana dall’esordio della malattia possono comparire coagulazione intravascolare disseminata, linfocitopenia e trombocitopenia.
Il tasso di letalità è intorno al 50%, ma può variare (range 24-88%) in base alla gestione terapeutica del caso e dal ceppo virale. Il trattamento precoce può infatti migliorare significativamente le possibilità di sopravvivenza. Nei casi letali il decesso avviene tra gli 8 e i 16 giorni dall’esordio ed è attribuibile alla disidratazione, emorragie interne e insufficienza multiorgano.