«Le piante parlano. Hanno molto da dire, ma noi non le ascoltiamo». Matteo Beccatelli, 30 anni, ne è convinto. Chimico, inventore, ha trasformato questa consapevolezza in tecnologia. Ha creato un dispositivo capace di “ascoltare” le piante: legge la linfa in tempo reale, capta lo stress e avvisa l’agricoltore che qualcosa non va.
L’obiettivo? Migliorare la resa delle coltivazioni e consumare meno risorse: meno acqua, meno fertilizzanti, meno pesticidi. Con il fratello Tommaso, 25 anni, imprenditore agricolo ed esperto di additive manifactoring, ha fondato la startup Plantvoice, che è pronta per avviare il processo di industrializzazione di questa tecnologia sensoristica. Il loro quartier generale è NOI Techpark, il parco scientifico e tecnologico della Provincia autonoma di Bolzano. «Una realtà splendida, dove ci sono aziende, università, startup, incubatori, con una vocazione per l’agritech».
L’idea di Plantvoice
Giovani appassionati di ambiente e tecnologia, i due partono con l’idea di risolvere due grandi problemi dell’agricoltura: il consumo idrico e lo sfruttamento del suolo. «L’acqua è ormai un bene prezioso, i pesticidi hanno impatti su ambiente e salute umana, i fertilizzanti hanno effetti in termini di impoverimento del suolo».
L’obiettivo: rendere l’agricoltura sostenibile, dal punto di vista economico e ambientale. «Il nostro sensore è grande come uno stuzzicadenti, capace di leggere i sali minerali e il flusso della linfa, due parametri fondamentali per capire se la pianta soffre. Il dispositivo viene messo su una “pianta sentinella”. Raccoglie dati e poi li invia in cloud a un software di intelligenza artificiale che li analizza e avverte l’agricoltore. È un alert semplice, si accende una luce che dice “manca l’acqua” o “ci sono batteri, funghi”».
Imprenditore seriale, Matteo si laurea in chimica e si specializza al New Jersey Institute of Technology in Usa, dove studia sensori per inquinanti ambientali e materiali per lo stoccaggio di idrogeno. Tornato in Italia, fonda la sua prima startup, sviluppando una tecnologia che analizza il sudore degli atleti per monitorare il loro stato di salute. La startup cresce, ma quando arriva il momento di espandersi all’estero, Matteo decide di uscire dal progetto per concentrarsi su una nuova sfida. «Ho imparato dai miei errori». Questa volta è determinato a non ripeterli.
Sviluppa il brevetto partendo da una consapevolezza. «Mi sono reso conto che la sensoristica attuale perde qualcosa di essenziale: “l’umanità” della pianta, l’essere vivente che c’è dentro». Fatto il brevetto, aspetta la concessione e passa quasi un anno prima di fondare la nuova startup. Intanto cerca i partner industriali.
Plantvoice nasce a febbraio 2024, in bootstrapping, trasformando fin da subito le prime collaborazioni in clienti consolidati. Oggi hanno già firmato 20 contratti di fornitura con consorzi e grandi aziende agricole ( «Le aziende agricole che hanno adottato il dispositivo hanno risparmiato in media fino al 40% di acqua, ridotto l’uso di fertilizzanti del 20% e diminuito del 15% l’impiego di pesticidi. La startup ha ottenuto anche numerosi finanziamenti pubblici. Tra questi, un importante progetto FESR da circa 500 mila euro in provincia di Trento, oltre a diversi bandi regionali ed europei».
Le collaborazioni
Decisive per lo sviluppo della tecnologia sono state le collaborazioni con l’Università di Milano, con la Fondazione Edmund Mach, con Eurac Research di Bolzano e con Fondazione Bruno Kessler. «Con quest’ultima abbiamo fatto un’installazione a inizio giugno, per ottimizzare l’irrigazione e i trattamenti fitosanitari su Teroldego Rotaliano presso una cantina all’interno di un progetto europeo chiamato AgrifoodTEF. Questi dati, su cui la Fondazione contribuirà a sviluppare algoritmi innovativi, permetteranno di realizzare il bilancio di sostenibilità dell’azienda agricola grazie alla partnership con EsgMax».
Nel team ci sono Pierluigi Lodi Rizzini, COO; Giovanni Collinetti, CMO e Simone Radaelli, responsabile interfaccia utente e Giacomo Giannarelli, esperto in politiche pubbliche e innovazione. Sulla parte Big Data e AI, invece, Plantvoice conta sull’advisor Massimo Ferri, CEO di EsgMax. «Ho imparato che da solo non vai da nessuna parte. Sono l’inventore della tecnologia, ma non potrei fare nulla senza mio fratello, che da agricoltore mi dice come usare queste innovazioni, o senza chi mi insegna a interpretare i dati che raccogliamo o a cercare finanziamenti. Fare startup è un’avventura entusiasmante, ma bisogna scegliere con cura i compagni di viaggio».
L’agricoltura 4.0 è in forte crescita. McKinsey calcola che questo mercato oggi abbia un valore di 21,5 miliardi di euro e possa segnare un aumento dell’16% annuo fino al 2026. «È un settore dove si può avere un impatto, con tanto spazio per fare la differenza. Fare startup significa avere un prodotto che scali. E il nostro sensore può scalare, ne bastano in media 3 per ogni ettaro».
I prossimi passi
Plantvoice è una Società Benefit ha scelto di creare una tecnologia che sia essa stessa sostenibile: i biosensori sono realizzati con materiali biocompatibili e compostabili. In questi giorni, sta lanciando un aumento di capitale ed entro il 2025 puntano a un round serie A. «Ho imparato a non fare i passi più lunghi della gamba, ma non voglio fermarmi o crescere lentamente, altrimenti ci trasformiamo in una piccola media impresa. Essere una startup significa avere un prodotto che scali. Entro la primavera puntiamo all’industrializzazione completa e ampliarci in modo importante sul mercato italiano».