Se ci fosse una classifica degli animali più bravi a comunicare con gli esseri umani, gli orsi polari lotterebbero per il primo posto. «In ecologia si parla di specie carismatica, ossia una specie che la gente percepisce come importante. Sono creature in grado di veicolare ad esempio una comunicazione sulla salvaguardia dell’ambiente. Si prenda l’immagine di un orso polare, su un blocco di ghiaccio alla deriva. Il messaggio che arriva è chiaro e riguarda il riscaldamento globale in atto». Paolo Galli è professore ordinario di Ecologia all’Università degli Studi di Milano Bicocca e in occasione della Giornata Mondiale dell’Orso Polare – che ricorre oggi, martedì 27 febbraio – ci ha aiutato a inquadrare il ruolo di questi animali e le ripercussioni delle attività antropiche sugli ecosistemi.
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Quanti sono gli orsi polari?
Secondo i dati pubblicati dal WWF il numero di orsi polari presenti in natura oscilla tra i 22mila e i 31mila individui. I cambiamenti climatici e lo scioglimento dei ghiacciai ai poli costituiscono una minaccia concreta per la loro sopravvivenza, con ricadute a cascata.
La popolazione dell’orso polare della baia di Hudson, in Canada, è calata del 30% fra il 1987 e il 2017. Lungo le coste canadesi vivono i due terzi di tutti gli orsi polari e, come si legge su Nature, sono molto pochi i ricercatori in grado di osservarli sul campo a causa dei costi e degli sforzi logistici.
Per quanto si siano fatti enormi progressi nell’opinione pubblica, rispetto alla sensibilizzazione sui temi ambientali, ci sarebbe ancora molto da fare per rompere il muro dell’indifferenza rispetto alle specie a rischio e a un pianeta in affanno. Partiamo con una domanda: perché sono importanti gli orsi polari? «Sono ai vertici della catena alimentare: è una specie in grado di regolare l’ecosistema – argomenta Galli -. La loro perdita costituirebbe una perdita di biodiversità».
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Ritorniamo per un istante alla questione della comunicazione. Perché gli orsi polari, meglio di molti altri animali, vengono associati a un’emergenza come quella climatica? «Walt Disney ha costruito un immaginario attorno al concetto di animali neotenici: sono animali che mantengono da adulti sembianze da cuccioli. Un animale adulto con sembianze dolci inibisce l’aggressività». E, in parole povere, si conquista subito la nostra attenzione.
Che succede se si estinguono gli orsi polari?
I dati ci dicono che i ghiacciai dell’Artico si stanno sciogliendo e negli ultimi 50 anni l’estensione dei ghiacci marini è calata del 43%. «È questo l’habitat dell’orso polare, sa vivere soltanto in questa nicchia ecologica. Il suo manto è bianco per mimetizzarsi e sa nuotare. Se distruggiamo questo ambiente la popolazione non può fare altro che diminuire».
La biodiversità è, di nuovo, un altro argomento che viene banalizzato. Che problema mai potrà essere l’estinzione di una specie? Sono davvero queste le emergenze? «Se i cambiamenti climatici modificano gli habitat, non abbiamo più risposta dalla biodiversità. Estremizzando, l’ambiente con una sola specie perde interconnessioni. Più è biodiverso, più un ambiente è in grado di far fronte alle variazioni ambientali».
E le conseguenze potrebbero arrivare anche molto vicine a noi, con un effetto a catena che poggia su semplici ragionamenti scientifici. «Perdere il ghiaccio ai Poli significa che le nostre vite cambierebbero. Perché questi due luoghi funzionano come motori a freddo in grado di mettere in movimento il cosiddetto nastro trasportatore transoceanico».
Quello che spiega Galli è un fenomeno fondamentale nell’equilibrio dell’ambiente globale. «Com’è che fa a muoversi la corrente calda del Golfo del Messico? Bisogna pensare all’acqua quando arriva in prossimità dei Poli. Diventa più fredda, dunque più densa e dunque scende in profondità, attivando così lo spostamento dell’acqua nei fondali. In parole povere: l’acqua degli oceani circola grazie ai Poli». Grazie a un simile meccanismo si redistribuiscono i nutrienti dell’oceano, principalmente fosforo e e azoto, fondamentali per le alghe. «E se queste risorse non arrivano alle alghe si ferma la catena alimentare».
I cambiamenti climatici non sono un opinione
Al netto dei sacrosanti diritti di pensare, credere e dire quel che si vuole, la realtà non è (o non dovrebbe essere) un qualcosa di negoziabile. I fatti e la scienza ci dicono che i cambiamenti climatici sono in atto. «La stragrande maggioranza dei lavori scientifici ci dice che sono in corso. Non significa che la scienza si basi su libri sacri, ma su osservazioni e dati che possono modificarsi nel tempo. Ad oggi siamo di fronte a un fatto».
L’impatto dell’uomo in tutto questo è evidente. Paolo Galli, che ha sempre sognato di lavorare in Scozia, è finito in realtà per lavorare spesso in realtà molto più calde. Da oltre dieci anni cura un progetto alle Maldive, che abbiamo raccontato a suo tempo su StartupItalia: MaRhe. «Abbiamo aperto un centro di ricerca, un campus di 3mila metri quadri dove ospitiamo 40 persone. Facciamo ricerca di qualsiasi tipo: coralli, geologia marina e tutto per cercare soluzioni ai cambiamenti climatici. Una delle azioni che mettiamo in campo è il restauro delle barriere coralline danneggiate. Noi italiani siamo bravi come restauratori di opere d’arte. Vorremo anche restaurare le barriere danneggiate dall’incuria dell’uomo».