Giorgia Linardi, portavoce di una delle ONG al centro delle polemiche, commenta la decisione di chiudere i porti: “Il timore di restare bloccati in rada per settimane scoraggerà i soccorsi dei pescherecci e dei mercantili”
Mentre iniziamo l’intervista con Sea-Watch, si rincorrono le notizie sul destino della Diciotti, la nave della Guardia Costiera italiana rimasta per giorni misteriosamente di fronte alla costa con il suo carico di disperazione: 522 migranti, tra cui i 41 salvati una settimana fa da una nave della ONG, mentre iniziava l’odissea dell’Aquarius. Ed è proprio la portavoce di Sea-Watch Italia, Giorgia Linardi, a darci le ultime notizie: «Al momento noi non abbiamo più naufraghi a bordo, sono stati tutti trasferiti sulla nave italiana e quello che sta accadendo è scandaloso: mentre all’inizio sembrava che da parte del governo ci fosse un doppio approccio mirato a chiudere i porti alle ONG e a tenerli aperti per le navi governative, ora sembra che non sia più così». E mentre Giorgia Linardi parla, sul mio cellulare arriva l’agenzia di stampa che riporta la notizia che la Digiotti potrebbe finalmente attraccare in porto a Pozzallo nelle prossime dodici ore: l’ennesima notte in mare, senza un perché, per i migranti.
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L’ultimo salvataggio di Sea-Watch e la chiusura dei porti
«Sulla Digiotti – continua la portavoce di Sea-Watch – ci sono le 41 persone soccorse da un naufragio sette giorni fa: al momento sono bloccate a pochi chilometri dalla costa senza una vera e propria motivazione e tutto ciò è scandaloso». L’inferno, per quelle 42 anime sottratte ai flutti, ha inizio martedì scorso, quando il loro gommone si ribalta a 20 miglia dalla Libia. Dodici occupanti muoiono immediatamente e vengono lasciati in mare perché i primi soccorritori, la Trenton della Us Navy, non hanno a disposizione celle frigorifere in cui mettere i corpi. Solo in un secondo momento arriva invece la Sea-Watch 3 che però ha subito chiesto alla centrale operativa di Roma un porto ragionevolmente vicino cui potere attraccare non potendo percorrere molte miglia, tanto più con 41 persone appena salvate dalla morte, di cui 4 donne incinte.
La situazione di stallo della nave della Guardia Costiera Digiotti preoccupa forse più della chiusura dei porti che ha riguardato l’Aquarius, proprio perché il provvedimento voluto dai ministri Matteo Salvini e Danilo Toninelli ora sembra colpire indiscriminatamente tutti: «Questo nuovo approccio è scoraggiante soprattutto per i privati, i tanti mercantili che solcano quelle acque», ci illustra Giorgia Linardi di Sea-Watch.
Il rischio è che i privati si chiedano quanto sia conveniente soccorrere…
«Se il governo lascia fuori le sue stesse navi – prosegue la portavoce della ONG – figurarsi cosa potrebbe fare alle imbarcazioni private, alle quali i ritardi in attesa dell’individuazione di un porto d’attracco rischiano di costare un sacco di soldi, anche perché possono portare merci deperibili e allungare la tratta significa un danno economico notevole». Quindi, la portavoce di Sea-Watch, conclude amaramente: «Pescherecci e mercantili sanno bene che la legge del mare impone loro di prestare soccorso ai naufraghi, ma potrebbero presto essere costretti a scegliere se farlo rischiando di perderci molti soldi».
L’ultimo attacco di Salvini alle ONG
Fatalmente si arriva quindi alla domanda sulla questione politica: Sea-Watch non vuole fare politica e non ama commentare fatti politici, ci è già stato anticipato ancora prima di iniziare l’intervista, ma non si può non chiedere loro cosa rispondono alle accuse di collusione con gli scafisti da parte di chi li avversa: un anno fa l’attuale ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico, Luigi Di Maio, aveva definito le ONG “taxi del mare”, soltanto domenica il titolare del Viminale, Matteo Salvini, ha scritto su Facebook: “Sappiano questi signori che l’Italia non vuole più essere complice del business dell’immigrazione clandestina, e quindi dovranno cercarsi altri porti (non italiani) dove dirigersi”.
Mentre leggo il contenuto del post del segretario federale della Lega, Giorgia sforza un sorriso, poi commenta amaramente: «Non so se contro di noi ci sia un “complotto”, come dicono alcuni, ma è ovvio che da oltre un anno c’è una strategia, prima mediatica, ora operativa, volta a metterci all’angolo. Il perché è semplice: ridurre, se non persino eliminare, la presenza di testimoni scomodi in mare, su cui il governo non ha alcun controllo, che oltre a soccorrere i migranti raccontino anche ai media quanto sta accadendo».
Sea-Watch: “Nostra situazione economica trasparente e accessibile”
Ma la polemica con il governo, rovente, soprattutto in quest’ultimo periodo, passa anche per illazioni e frasi calunniose, perciò la portavoce di Sea-Watch tiene a specificare che: «Noi, come tutte le altre ONG presenti nel Mediterraneo, siamo finanziati esclusivamente da privati. I nostri rendiconti sono trasparenti e accessibili, risultano interamente all’Agenzia delle Entrate tedesca». «Se proprio vogliamo metterla sul tema finanziario – conclude con sarcasmo -, visto che chi ci delegittima dice che noi riceviamo sovvenzioni pubbliche, allora chiediamoci quanto è costata al contribuente italiano l’operazione di portare, con due navi governative italiane, l’Aquarius dalla Sicilia a Valencia».
«Attualmente – chiosa Giorgia Linardi prima di lasciarci – sembra che si sia tornati alla situazione precedente a Mare Nostrum, quando tutto l’immenso dramma di questa migrazione epocale era sulle spalle dei privati». E, come recita, la carta dei principi di Sea Watch, lo scopo della ONG è proprio quello “di colmare un vuoto istituzionale creatosi con la fine del mandato Mare Nostrum, un’operazione che ha salvato più di 130.000 vite ma che, non essendo stata presa in carico dalla UE, si è conclusa”. Dall’anno della sua fondazione, nel 2014, a oggi, Sea-Watch è stata coinvolta nel salvataggio di oltre 35.000 persone. Adesso, però, con le nuove decisioni prese dal governo italiano e all’alba di una stagione estiva, che tradizionalmente vede intensificarsi il fenomeno, tutto questo potrebbe drasticamente cambiare. E non sappiamo se per il meglio.