La giovane ragazza indiana sta progettando un sistema con pannocchie di scarto e colli di bottiglia di plastica per purificare le acque reflue, da riutilizzare nell’irrigazione dei campi.
Lalita Prasida Sripada Srisai è una 13enne che vive nel villaggio di Damanjodi, nel distretto di Koraput (nello stato federato di Odisha), in India. La sua famiglia, come l’intero villaggio, si adopera ogni giorno nei campi, coltivando soprattutto canapa, bambù e mais. Ci sono periodi dell’anno in cui le piogge sono quasi assenti, causando così due problemi: la difficoltà d’irrigazione e lo spreco di raccolti che non soddisfano le esigenze alimentari.
Lalita spesso passeggia tra i campi del suo paese, incontrando sulla sua strada cumuli e cumuli di pannocchie di mais (termine improprio ma comunemente usato per indicare l’infiorescenza femminile di mais che in realtà è una spiga) bruciate sotto il sole. Impressionata dalla loro enorme quantità, inizia a chiedersi come mai venissero abbandonate in questo modo, e soprattutto cosa si poteva fare per recuperarle.
Così, all’età di undici anni, Lalita inizia ad appassionarsi alla coltura del mais raccogliendo delle pannocchie sui bordi delle strade e portandole nella propria cucina. Il nonno le spiega che quelle da lei raccolte sono ormai dei rifiuti che nemmeno gli animali desiderano mangiare, e le mostra ogni parte del frutto. Una di queste attira l’attenzione di Lalita, il tutolo (la parte interna alla quale sono attaccati i chicchi di mais), poiché somigliante ad una spugna. Prende così una bacinella d’acqua sporca (per non sprecare quella poca potabile a disposizione), immerge le pannocchie e attende qualche ora. Con sua grande sorpresa nota come non fosse l’acqua ad essere assorbita ma, al suo posto, ciò che la rendeva torbida: l’acqua era diventata più chiara.
Lalita si mette subito al lavoro per costruire un sistema di filtrazione delle acque reflue dei tubi di scarico della propria casa e, successivamente, quelle di alcuni stagni naturali presenti vicino a lei. Con l’aiuto di alcuni amici e del nonno raccoglie moltissime pannocchie, le lascia seccare e le scompone nelle diverse parti. Grazie a dei colli di bottiglia di plastica, riempiti con le parti di pannocchia, crea una bizzarra, ma funzionale, impalcatura, che le permette di ottenere acqua pulita e riutilizzabile alla fine del processo di filtraggio.
Come funziona
Un’asta di metallo sottile con cinque razze che si diramano orizzontalmente, supportano ognuna un collo di bottiglia. Delle cannucce si estendono dal tappo della bottiglia riversandosi in quella successiva: ogni flacone contiene pezzi secchi di pannocchia, di diverse dimensioni. L’acqua, riversandosi nella prima bottiglia, scivola verso il basso lungo il sistema, lasciando dietro di sé le impurità trattenute dal mais. Ecco un disegno fatto dalla stessa tredicenne:
Bottiglia 1: pezzi molto grossi di pannocchia.
Bottiglia 2: grani più piccoli di un pollice.
Bottiglia 3: mais in polvere che assorbe benzina e olio.
Bottiglia 4: parti di tutoli bruciati, simili a carbone annerito, che assorbono coloranti e piombo.
Bottiglia 5: sabbia finissima, che ferma le tossine chimiche, organiche e inorganiche.
I test
Lalita ha portato la propria invenzione nel laboratorio di chimica della sua scuola, dove ha effettuato test ripetuti e accurati, sia sulla propria struttura, sia sull’acqua, prima e dopo il filtraggio. Ha registrato come il suo sistema riuscisse a rimuovere tra il 70 e l’80% dei contaminanti, contenenti ossidi di sale, detergenti, oli, coloranti, funghi, colori e altre particelle fluttuanti.
Dovranno essere effettuati ulteriori test prima che Lalita possa vendere la propria invenzione agli agricoltori. La speranza è quella che il suo sistema di filtraggio possa permettere ai contadini di riutilizzare le acque reflue durante i periodi di secca, al fine di aumentare la produzione e la qualità delle materie prime.
Il premio
Grazie alla sua invenzione, Lalita ha da poco vinto il premio Scientific Impact Community Award, della quinta edizione della Google Science Fair, contest dedicato ai ragazzi dai 13 ai 18 anni. Il premio le è valso 10mila dollari di finanziamento e un anno di tutoraggio da parte della rivista Scientific American. Sicuramente sentiremo parlare ancora di lei, e del suo progetto.