Si chiama Clothest* la piattaforma del fashion solidale. Il progetto nato nella Casa Famiglia Caritas di Montevarchi (Arezzo)
Anche il fashion inquina. E non soltanto per i coloranti e la lavorazione industriale. C’è un altro aspetto per nulla sostenibile legato a cattive abitudini che spingono molte persone a disfarsi di vestiti in buono stato senza dargli neanche una seconda opportunità. Fortunatamente la cosiddetta second hand economy sta crescendo anche nel mondo della moda: in tutto, il giro d’affari vale 24 miliardi di euro, stando ai dati racconti nell’indagine condotta da BVA Doxa. E per assecondare questo mercato è nato un e-commerce specializzato su quella alta moda che altrimenti andrebbe al macero. Si chiama Clothest* ed è un progetto non profit avviato all’interno della Casa Famiglia Caritas di Montevarchi, in provincia di Arezzo.
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Clothest*: alta moda e solidarietà a braccetto
Clothest* raccoglie e vende abiti usati di brand del lusso per finanziare i progetti di assistenza della Casa Famiglia Caritas di Montevarchi. I capi donati, chiusi nell’armadio e spesso inutilizzati, vengono così valorizzati per favorire uno sviluppo solidale con un lato green tutt’altro che trascurabile. In questi anni su Impact avete letto tante storie di startup attive nel settore fashion con tecnologie e prodotti più sostenibili per una moda a impatto minimo sull’ambiente. «Questo progetto per me è una linea d’orizzonte, che unisce mondi distanti – ha detto Letizia Baldetti, founder di Clothest* – D’ora in poi niente andrà più perduto, tutto potrà essere consapevolmente rimesso in circolo e trasformato in patrimonio sociale. Riciclare è trasformare il desiderio di possesso in libertà di acquisto».
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Usato sicuro
In un anno decisivo per l’e-commerce a tutti i livelli – da Amazon fino alle botteghe – storie come quella di Clothest* mostrano quanto il digitale rappresenti uno strumento fondamentale anche per il settore non profit. Un vestito usato può essere infatti valorizzato con una storia che unisce stile, sostenibilità e valori. «È il momento di cambiare, di scegliere, di distruggere stereotipi e creare paradossi, raccontando una storia in cui impegno sociale e fashion addiction camminano insieme, perché chi più compra o dona capi di alta moda, più aiuta chi ne ha bisogno», ha aggiunto Paolo Iabichino, Direttore strategico e creativo del progetto.
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Come si legge nella homepage dell’e-commerce “ogni anno 92 milioni di tonnellate di abiti vengono buttati e inceneriti, generando più di 1,2 miliardi di emissioni di anidride carbonica. È il momento di cambiare, è il momento di scegliere”. Cifre esorbitanti che dovrebbero stupire ciascun consumatore. «Il digitale abilita opportunità, non è un nemico da combattere – ha concluso Enrica Gnoni, Ceo & Founder di b2commerce, che ha curato la progettazione della piattaforma – La loro idea non avrebbe avuto il respiro necessario per diventare qualcosa di grande, se fosse rimasta legata al territorio. E viceversa, il digitale le permetterà di prendere dalla rete e restituire al territorio, al local, in uno scambio virtuoso e sano».