Stop agli sprechi di monouso, soluzioni alternative per le anestesie, progettazione degli edifici in grado di sfruttare la luce solare: il settore sanitario vale il 5% delle emissioni serra globali
Lungo tutto il corso della pandemia, la sanità ha lavorato al massimo delle proprie capacità. Il cuore dell’attività è stata la cura del paziente, in misura persino maggiore rispetto alla norma. Ma ogni azienda complessa ha la responsabilità di ottimizzare i processi per renderli più sostenibili. Gli ospedali non fanno eccezione.
Il settore della sanità globale, che comprende ospedali, cliniche e catene di rifornimento, varrebbe il 5% delle emissioni serra globali, scrive l’università di Yale. Similmente, secondo la rivista The Lancet, la quota si attesterebbe attorno al 4.6%.
I grandi nosocomi metropolitani sono piccole città che brulicano di fornitori, sanitari, pazienti: magazzini, corridoi, reparti e sale operatorie sono frequentati ogni giorno da decine di migliaia di persone. Sempre secondo Yale, il 70% delle emissioni proviene dalle catene logistiche.
Naturalmente, c’è molto altro. I nosocomi sono aziende energivore che consumano voracemente elettricità e acqua: i macchinari devono essere mantenuti in funzione, i medicinali refrigerati, gli ambienti climatizzati, l’aria depurata.
Un ripensamento globale, slegato dai miglioramenti incrementali, è necessario. Le nuove tecnologie possono aiutare, ma non sempre è necessario reinventare la ruota: un contributo rilevante può venire anche da tecniche ben note, che, per qualche ragione, non sono ancora applicate ovunque.
Vediamo.
I diversi livelli delle sostenibilità negli ospedali: sistemico e logistica
Parlando di sostenibilità del sistema sanitario e dei nosocomi, si può affrontare la questione su più livelli.
Il primo è, senz’altro, sistemico. Un corretto dimensionamento delle strutture basato sulle reali esigenze della popolazione è in grado di evitare ridondanze assicurando, al contempo, una risposta sanitaria efficace. Ma, con l’80% circa del bilancio delle regioni destinato alla sanità, è facile comprendere che gli interessi in gioco siano molteplici e rilevanti. In una regione come la Lombardia, si tratta di centinaia di milioni di euro, da spendere al crocevia tra politica, mondo universitario e industriale. Cifre enormi, in grado di smuovere interessi.
Il secondo livello è rappresentato, invece, dai consumi dei singoli nosocomi.
“A differenza delle aziende che producono beni di lusso, tenute a dimostrare di essere valide dal punto di vista climatico per restare competitive, i pazienti non scelgono gli ospedali sulla base delle performance ambientali. Lo fanno, piuttosto, basandosi sui propri bisogni di salute e sulle performance dei sanitari” afferma la dottoressa Jodi Sherman, anestesista ed epidemiologa, esperta di sostenibilità applicata all’industria ospedaliera alla Yale School of Medicine.
“Credo ci sia la falsa percezione che esistano dei tradeoff tra il consumo di energia sostenibile e la qualità delle cure; e invece ci sono molte cose che possono essere fatte in maniera più efficiente senza compromettere quest’ultima” aggiunge il collega Todd Cort.
Molto si può fare dal punto di vista costruttivo. A partire dalla progettazione degli edifici. Come, per esempio, accaduto all’ospedale pediatrico di Pittsburgh, aperto nel 2009: al contrario di molti nosocomi, quello americano sfrutta al massimo la luce solare, con ampie vetrate che consentono di limitare il ricorso alle lampadine. Non solo: ha eliminato totalmente l’uso della carta per la documentazione clinica, introdotto un sistema di recupero dell’acqua e un sistema di condivisione dei veicoli per ridurre le emissioni.
L’ospedale di Wythenshawe, nella piovosa Manchester, invece, ha vinto negli anni scorsi la palma di nosocomio più verde d’Inghilterra. Tra le idee più innovative, uno schema bike-to-work per incentivare i dipendenti all’uso delle due ruote messo in piedi, raccontano i responsabili della comunicazione, grazie alla collaborazione della polizia, che qui porta le bici abbandonate per strada. I velocipedi vengono poi rimessi in sesto da uno staff di volontari che si ritrova il giovedì, e quindi lasciati a disposizione del personale.
Curiosità: per il controllo dei piccioni non si impiegano veleni, ma un falcone con tanto di addestratore. I risparmi pare raggiungano le 390mila sterline all’anno: denari, affermano i dirigenti, che vengono reinvestiti nelle cure.
Sale operatorie green?
Il terzo livello è quello attinente alla micro-gestione dei singoli reparti. La chirurgia è un buon esempio dei margini di miglioramento che è possibile ottenere. Quando si affronta un intervento, la sostenibilità è l’ultimo pensiero di pazienti e medici. Eppure, le sale operatorie sono centri di consumo di risorse che, secondo gli stessi sanitari, possono essere ripensati senza comprometterne prestazioni né la sicurezza.
Ma l’input, spiega il professor Antonino Spinelli, segretario Generale della Società Europea di Coloproctologia (ESCP) e responsabile dell’Unità Operativa di Chirurgia del Colon e del Retto del’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Milano, deve venire dai livelli amministrativi. “Un grande sforzo deve essere fatto dai consigli di amministrazione degli ospedali, dai produttori di dispositivi medici e dai responsabili delle politiche sanitarie», chiariva Spinelli in un’intervista rilasciata a seguito della pubblicazione dell’articolo “Operation Sustainable Surgery: saving lives must not be to the detriment of the Planet” sulla rivista Medscape.
Il chirurgo: “L’isteria? Porta a sprechi colossali”
Non solo. Secondo il clinico, l’impiego di strumentazione monouso non è sempre indispensabile per garantire la sicurezza, che può essere ottenuta con procedure di sterilizzazione alternative.
“Sebbene utilizzata con l’intento di prevenire le infezioni chirurgiche, il suo impiego è correlato ad una aumentata produzione di anidride carbonica – proseguiva il medico – Sarebbe opportuno stabilire un elenco basato sull’evidenza di strumenti pluriuso sicuri e adeguatamente sterilizzati da utilizzare quando possibile. Quasi dieci anni fa, l’Associazione dei chirurghi di Gran Bretagna e Irlanda ha rilasciato una dichiarazione di consenso sulla chirurgia economicamente conveniente in cui gli autori affermavano che il rischio di infezioni crociate con strumenti chirurgici monouso è ‘infinitamente piccolo’, ma che l’‘l’isteria porta a sprechi colossali’. Da allora, i progressi sono stati lenti”.
Altro tema cruciale, quello degli interessi finanziari di chi produce dispositivi medici. “Più acquistiamo prodotti monouso, maggiori saranno i loro profitti. Dovremmo quindi mettere in discussione l’insistenza di una parte dell’industria sul fatto che alcuni articoli debbano essere monouso”, continua Spinelli, suggerendo che “per instillare un cambiamento più ampio nel settore, la direzione ospedaliera deve utilizzare la propria agenzia per procurarsi strumenti riutilizzabili e collaborare con i produttori per trovare soluzioni nuove e innovative”.
Per concludere, in un audit mirato alla sostenibilità devono essere necessariamente inclusi i gas utilizzati in anestesia. Un impatto significativo: contribuiscono al 5 per cento delle emissioni di CO2 di tutto il sistema sanitario nazionale inglese. Esistono delle alternative? “L’anestesia a basso flusso, o le ‘tecnologie della zona blu’ che catturano, recuperano e purificano gli agenti alogenati; o, ancora, l’anestesia endovenosa totale, che ne evita completamente l’uso”.