Dal pastazzo (gli scarti della spremitura degli agrumi) possono essere ricavate molte cose. Grazie alla tecnologia. Prodotti da forno, bibite, ammendanti, fibre tessili: ecco su che cosa si fa ricerca in Sicilia
Prendi lo scarto della spremitura degli agrumi e fanne una brioche dietetica, magari indirizzata ai diabetici o a chi cerca prodotti alimentari genuini. Oppure bevande naturali, o tessuti o ancora ammendamenti per fertilizzare e aiutare i terreni a rigenerarsi. Tutto questo si muove grazie alla ricerca che l’Università di Catania sta portando avanti con i fondi stanziati nella legge di Stabilità 2014 dopo che il pastazzo degli agrumi (ovvero il residuo della spremitura: bucce, semi e parte della polpa) è stato tolto dalla disciplina dei rifiuti. Insomma un’infinità di cose. Tutte allo studio.
Agrumi, oltre 700mila tonnellate di scarti
A fare il punto sullo stato dei lavori ricercatori e professori universitari durante un seminario sull’uso sostenibile dei sottoprodotti provenienti dalla lavorazione industriale degli agrumi organizzato dalle Università di Catania, di Palermo e di Reggio Calabria. Una sorta di prova pratica di come l’economia circolare, che si basa sul concetto di riuso e riutilizzo dei prodotti, può portare a risparmi e ad energia pulita. Ogni anno l’industria agrumicola produce oltre 700mila tonnellate di scarti (340mila solo in Sicilia) e smaltire il pastazzo come rifiuto costa alla filiera 30 euro alla tonnellata che ricadono sui produttori, una cifra altissima visto che parliamo di un sottoprodotto che si puo’ utilizzare.
Il futuro del pastazzo è nella tecnologia
Il pastazzo, grazie alle nuove tecnologie innovative messe a punto in questo progetto, può diventare una nuova opportunità, una speranza per i giovani agricoltori. E da qui muovono le ricerche dell’Università di Catania. “Le ricerche che stiamo portando avanti – ha spiegato il professor Salvatore Barbagallo, coordinatore del progetto – coinvolgono l’industria alimentare Dais, l’industria di produzione di bibite Sibat Tomarchio, l’industria agrumaria Ortogel e la societa’ Orange Fiber, che dal pastazzo ha ricavato addirittura una fibra tessile”. Dalla buccia alla polpa, insomma, i ricercatori siciliani stanno lavorando per creare nuovi prodotti dalle fibre delle arance. Prodotti da forno light, bibite, ammendanti sono solo i primi risultati di un lavoro enorme che si spera possano essere recepiti per la definizione di una normativa che, nel rispetto della tutela ambientale, possa dare un concreto sostegno economico alle industrie di trasformazione di agrumi e quindi all’intero comparto dell’agrumicoltura siciliana.
Riciclo sì, ma non solo arance
Il tema del recupero degli scarti alimentari non è certo nuovo all’universo delle startup. La società Orange Fiber proprio dalle arance ricava tessuti e filati. E la sua tecnologia si è aggiudicata un premio di 150 milioni di euro e un programma di accelerazione di H&M Conscious Foundation. Non solo le arance, però. Un gruppo di ricercatori di Rotterdam hanno trovato il modo per ricavare dalle bucce delle albicocche e delle mele la pelle per borse e zaini. Il materiale innovativo si chiama fruit leather. Un’alternativa sostenibile alla pelle l’ha trovata anche la designer spagnola Carmen Hijosa che ha sviluppato Piñatex, un materiale ricavato dalle foglie di ananas, resistente abbastanza per produrre borse e scarpe. E poi c’è la polvere di mango di EatLimmo che recupera le bucce e i semi dei frutti tropicali e ne fa degli additivi da usare come sostituti di uova, grassi e zuccheri nei prodotti da forno.