La nostra rubrica dedicata agli underdog, quelli che non si danno mai per vinti e sanno cogliere i lati positivi soprattutto di fronte a sfide difficili, torna con una storia che ha dell’incredibile. Chissà se un giorno potrà essere il copione di un film. Questo racconto (in cui di fantasioso non c’è niente, neppure il nome del protagonista) è ambientato a Torino, nei primi anni 2000. Danilo Fanfano, poco più che 20enne, è uno studente di Informatica che insegue il sogno di diventare un grande esperto nel campo della tecnologia, come il papà che si occupa di programmi gestionali e svolge consulenze informatiche. È un bravo studente, si impegna tanto, e ama moltissimo lo sport, in particolare pratica con disciplina e dedizione la sua grande passione: le arti marziali. E fin qui, questa storia non ha niente di incredibile: questo ragazzo è un giovane che, come tanti altri, sta mettendo le basi per costruire il proprio futuro. Ma quel futuro che Danilo ha in mente, da un momento all’altro, si volatilizza. Sparito. E per Danilo la sua vita cambia drasticamente. Non ci sono più sogni nel cassetto ma conta una cosa sola: sopravvivere.
Leggi anche: La campionessa ipovedente Martina Vozza sulle vette innevate. «Se credi in te stessa scali le montagne»
Gli anni più duri
La famiglia di Danilo, che sino ad allora viveva una situazione economica benestante, cade in povertà. Il padre, che aveva messo a punto un sistema allora pionieristico, dando la possibilità di pagare i pedaggi autostradali dal proprio cellulare, non ha successo. Da quel momento in poi per i Fanfano inizia un periodo buio, fatto di richieste di prestiti e ispettori giudiziari che bussano continuamente alla porta di casa e portano via tutto. La famiglia si ritrova, di punto in bianco, senza una casa. Resta solo una vecchia auto, che diventerà “casa” per Danilo. «Avevo più o meno 26 anni – racconta Danilo – Mi sono trovato a non avere più niente ma, allo stesso tempo, non volevo far pesare anche la mia situazione sulle spalle della famiglia. Dissi che mi avrebbe ospitato un amico, in realtà ho trascorso interi mesi in macchina, in compagnia di un barattolo di marmellata diventato il mio salvadanaio». Per strada, al freddo, senza più niente se non la voglia di vivere, Danilo si aggrappa a quella passione che da sempre aveva coltivato con dedizione: le arti marziali. «Ho continuato a praticare quello sport con sempre più attenzione e concentrazione finché ho scoperto un mondo sommerso allora per me sconosciuto: quello degli incontri di boxe clandestini – spiega Danilo – Un amico mi aveva raccontato dove si tenevano così ho pensato: “Beh, in questo momento è un modo facile per racimolare un po’ di soldi e aiutare la mia famiglia“. Da quel momento è iniziato il mio calvario».
Gli incontri di boxe clandestini
A cavallo tra il 2008 e il 2012 Torino è al centro di diversi casi di cronaca che hanno a che fare con il controllo del territorio tra bande della malavita. In particolare, a farsi la guerra sono clan di albanesi e rumeni con aggressioni, sparatorie e pestaggi. «In quegli anni si respirava un brutto clima in città – racconta Danilo – C’era già la malavita albanese ma stava cercando di subentrare quella rumena, in particolare nel controllo dei traffici di droga, della prostituzione e degli incontri clandestini di combattimento. Si scommetteva non solo sui cani, ma anche sulle persone». E Danilo è stato una delle vittime di quel sistema criminale. «Ricordo di aver pregato una persona che aveva dei contatti con alcuni componenti di questi clan per farmi incontrare con loro – spiega – In quel momento si era instaurata un sorta di equilibrio tra le due fazioni e il clima non sembrava essere troppo teso. Ogni tanto penso ancora al mio primo incontro: io arrivavo da anni di allenamento. Davanti a me il mio sfidante: un uomo molto alto e molto cattivo. Questo è stato il primo di una lunga serie di incontri in cui mi sono trovato a dover combattere con delle bestie più che delle persone. Quando tornavo a quella che era la mia casa (ovvero la macchina), distrutto e molto provato anche fisicamente, guardavo quel barattolo di marmellata che, poco a poco, si stava riempendo. Alla fine pensavo: “Dai che tutto questo sacrificio servirà a riscattare i debiti. Alla fine sta andando bene, stai vincendo gli incontri“». Danilo continua a combattere, di notte, mentre di giorno prova a cercare delle scappatoie a quella orribile situazione in cui si è cacciato: «A un certo punto il padrone della casa che ospitava questi incontri perde dei soldi e decide di mettere un freno all’attività malavitosa, ma i clan, di cui ormai facevo parte, non mi mollano e continuo a combattere, fino allo sfinimento. Mangiavo nei cassonetti, ho conosciuto altre persone che come me avevano perso tutto e sono stato anche tentato da altri tipi di situazioni malavitose. Nonostante questo, non ho mai perso di vista i miei valori e una mattina, mentre cercavo tra la sporcizia qualcosa di commestibile, ho visto una persona che stava buttando un oggetto: si trattava di un bilanciere dei dischi da palestra. Uno strumento che conosco molto bene. L’ho guardato e ho deciso di prenderlo. Ho speso parte del mio guadagno per un barattolo di vernice e ho iniziato a restaurarlo. Alla fine l’ho venduto a 50 euro». Aldilà del guadagno, questo passaggio è per la storia di Danilo un momento centrale: «In quell’istante ho capito che ciò che per qualcuno non vale più niente, per un altro può valere molto e che c’è un mondo sommerso di cose a cui qualcuno non dà più attenzione ma che per altri può essere importante».
La svolta e la nascita di Etika
Quella che fino ad allora era stata la quotidianità di Danilo sembra prendere un’altra piega: «Per i clan malavitosi iniziano i guai giudiziari e il sistema che avevano messo in piedi comincia a crollare – continua Danilo – Io non ho più alle spalle uno strozzino che mi cerca e vengo liberato dal demone. In questo momento è iniziata la mia seconda vita, anche se faccio tesoro di quei momenti bui perché mi hanno fatto migliorare e tornare a concentrarmi sui miei obiettivi». Chiuso quel doloroso capitolo, per Danilo inizia un’altra vita, dedicata alla rigenerazione, sia da un punto di vista personale che imprenditoriale: «Quando la morsa ha iniziato ad allentarsi ho deciso di fare qualcosa di buono per gli altri – spiega – La passione per l’informatica è sempre stata vive in me e mi sono messo in testa di dare vita a un’app, oggi Etika, che premia i valori sociali e coloro che si comportano in modo etico e rispettoso per l’ambiente con un reward: questa ricompensa si chiama “Fitcoin” e ha un rapporto 1:1 con l’euro». I Fitcoin di Etika sono accumulabili su un wallet digitale e spendibili all’interno del marketplace di Etika dove, in collaborazione con diversi partner e aziende, vengono inseriti beni o servizi acquistabili totalmente o in parte con questa moneta. «Dopo qualche anno di lavoro, assieme a un team di amici, è nata questa app che per me oggi è vita. Mia madre ha scoperto dopo 10 anni quella che è stata la mia quotidianità nel momento più buio della mia esistenza. Oggi fa l’operatrice olistica. Mio padre è tornato a fare il consulente e ha trovato dei collaboratori. Dalle ceneri di un debito da oltre 2 milioni di euro siamo riusciti a risollevarci in un percorso difficilissimo».
Il lieto fine
Come tutte le storie di rinascita che si rispettano, ecco il lieto fine: «Ognuno della nostra famiglia ha cercato (e trovato) un modo per rinascere – conclude Danilo – Quei momenti difficili mi sono serviti soprattutto per capire l’accettazione del dolore, della solitudine, di certe cose che non puoi cambiare. Sono questi gli insegnamenti più grandi che porto dentro di me. Oggi posso andarmene al cinema o in vacanza da solo e sto bene, e se sto male, aspetto. Se provo un dolore emotivo non lo soffoco nel caos, ho capito quanto è importante familiarizzare con il dolore». Adesso Danilo davanti a se ha un futuro che lo aspetta: «Vorrei riuscire a rendere sempre più conosciuto e partecipativo il progetto Etika, che favorisce l’adozione di un comportamento positivo. Le persone possono migliorare se capiscono che fare una cosa buona porta tanti benefici. Non aver perso di vista quelli che per me erano i valori davvero importanti mi ha dato modo di potermi reinventare. Bastava solo avere quell’intuizione che è arrivata quella mattina “a tu per tu” con un bilanciere trovato in un cassonetto. Se si hanno gli strumenti, si arriva dove si vuole». “Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior“, cantava Fabrizio De Andrè. Questa storia, almeno per adesso, finisce così, ma chissà che non riservi altre belle sorprese.