Le proteine del latte vaccino vengono ricreate in appositi bioreattori attraverso la fermentazione di lieviti geneticamente modificati: alla fine del processo si ottiene una polvere con cui si possono realizzare latte, formaggi e altri prodotti. Tra le più importanti aziende che producono “latte sintetico” c’è l’unicorno californiano Perfect Day, e a Seattle Starbucks ha già iniziato a servirlo ai suoi clienti
È ormai una tendenza consolidata in ambito AgriFoodTech quella relativa alla ricerca di alternative animal-free, per questioni sia etiche sia ambientali. Da un lato, c’è il filone plant-based. È quello in cui rientrano, per esempio, gli hamburger vegetali: prodotti cioè che nell’aspetto ricordano un alimento di origine animale, ma che in realtà sono realizzati interamente con ingredienti vegetali.
Dall’altro, c’è il filone cell-based, che comprende quegli alimenti di derivazione animale ricreati in laboratorio partendo da colture cellulari. A questo proposito, si sente spesso parlare di carne e pesce in vitro. Ma le aziende del biotech hanno messo gli occhi anche sul settore lattiero-caseario. Nel dettaglio, parliamo di latte e derivati non prodotti dalle mucche, bensì ottenuti tramite la fermentazione di lieviti. Come è possibile?
Lo scopo ultimo è quello di riprodurre in laboratorio le caseine (la principale famiglia di proteine del latte) e le proteine del siero di latte, tra cui le lattoglobuline e le lattoalbumine. Per farlo si utilizzano lieviti geneticamente modificati. Viene cioè inserita nei microrganismi una copia della sequenza del Dna bovino responsabile della produzione delle proteine del latte.
Dopo di che, i lieviti vengono messi all’interno di un fermentatore, in cui vengono alimentati con zuccheri e grassi vegetali. In questo modo, si moltiplicano e producono le proteine richieste, che al termine del processo vengono purificate ed essiccate per formare una polvere. Quest’ultima viene poi miscelata con altri ingredienti per la produzione di latte, ma anche di gelati, yogurt, formaggi e via dicendo.
Gli Stati Uniti fanno da apripista
Fino a poco tempo fa, solo l’idea di bere un bicchiere di latte che non provenisse dalle mucche poteva sembrare fantascienza. In realtà, si tratta di un business pronto a decollare. Diverse aziende e startup nel mondo stanno infatti investendo sulle tecnologie che permettono di ricavare una bevanda analoga al latte vaccino – sia per quanto riguarda il sapore e la consistenza sia per quanto riguarda il profilo nutrizionale – dalla fermentazione dei lieviti.
Una delle più importanti è Perfect Day, che ha sede in California e che è fresca vincitrice ai World Food Innovation Awards 2022 nella categoria “Best Ingredient Innovation”. Recentemente Perfect Day ha chiuso un round di investimenti da 350 milioni di dollari e il suo valore complessivo, secondo PitchBook, si aggira intorno a 1,6 miliardi di dollari.
La commercializzazione del latte prodotto da Perfect Day è stata autorizzata nel 2020 dalla Food and Drug Administration (FDA, l’ente federale americano che si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici) e a partire dallo scorso novembre è possibile assaggiarlo, senza costi aggiuntivi per i clienti, in alcuni store di Seattle della catena di caffè Starbucks.
Perfect Day è in buona compagnia. Un altro nome da memorizzare è quello dell’azienda isrealiana Remilk che ha annunciato di voler costruire l’impianto di fermentazione più grande del mondo in Danimarca, precisamente all’interno dell’eco-parco industriale di Kalundborg: 120 milioni di dollari di investimento iniziale e un polo produttivo di 70 mila metri quadrati che sarà in grado di garantire un quantitativo di latte pari a quello di 50 mila mucche in un anno.
A dir la verità, realtà che stanno lavorando allo sviluppo del latte cell-based sono presenti in tutti i continenti. Per esempio, la startup di Singapore TurtleTree ha raccolto pochi mesi fa 30 milioni di dollari di capitale e ha aperto una nuova struttura per la ricerca e sviluppo a Sacramento (California). Ancora, l’India è rappresentata dall’azienda biotech Zero Cow Factory.
Infine, in Spagna e in Sudafrica sono attive rispettivamente le startup Real Deal Milk e De Novo Dairy, che stanno studiando le modalità per produrre su larga scala, attraverso la fermentazione di precisione, prodotti che hanno le stesse caratteristiche del latte e al formaggio ma senza contare neanche una mucca nei loro impianti.
Parola d’ordine, sostenibilità (ma non solo)
Lo ripetiamo in continuazione. Se vogliamo raggiungere gli obiettivi stabiliti con l’Accordo di Parigi del 2015 (ossia contenere il riscaldamento globale entro i 2 gradi centigradi rispetto all’epoca preindustriale), occorre che anche l’industria alimentare dia il suo contributo per ridurre le emissioni di gas a effetto serra.
Sul banco degli imputati ci sono soprattutto gli allevamenti intensivi. Secondo il report “Dalle pandemie alla perdita di biodiversità. Dove ci sta portando il consumo di carne” pubblicato dal WWF, sono da soli responsabili del 14,5% delle emissioni totali di gas serra. Inoltre, hanno un forte legame con la deforestazione in Amazzonia, dove centinaia di ettari di foresta pluviale sono stati spazzati via negli ultimi anni per fare spazio alle monocolture di soia (il mangime per animali più utilizzato a livello globale).
Ecco, chi sta investendo nei cosiddetti innovative foods vuole innanzitutto offrire una possibile soluzione ai problemi sollevati dal punto di vista ambientale non solo dal consumo di carne, ma più in generale da quello di prodotti di origine animale. Non è un caso che un ambientalista convinto come l’attore Leonardo DiCaprio faccia parte dell’advisory board di Perfect Day.
La produzione di latte ottenuto con la fermentazione di lieviti promette di essere più efficiente e di abbattere i costi sia ambientali sia economici rispetto all’allevamento di una mucca. Quest’ultima infatti, prima di diventare produttiva, deve raggiungere una fase matura, accoppiarsi e poi partorire.
Il latte sintetico permetterebbe invece di ottimizzare i tempi, ridurre il consumo di suolo e di risorse idriche – rispettivamente fino a 100 e 10 volte in confronto al metodo tradizionale, secondo il Ceo di Remilk Aviv Wolff – e cancellare in un colpo solo l’inquinamento legato alle deiezioni degli animali. È inoltre privo di lattosio e di colesterolo, e per la sua produzione non c’è bisogno di ricorrere ad antibiotici.
Insomma, il latte senza mucche avrebbe il potenziale per soddisfare le esigenze sia delle persone che hanno scelto di seguire una dieta vegana sia di quelle che presentano intolleranze o allergie. La domanda a questo punto è la seguente: riuscirà a fare breccia nel cuore dei consumatori?