Dal 2035 si venderanno solo auto elettriche con una deroga che ha fatto felice la Germania. L’Italia come è messa? L’intervista a Carlo Tritto, policy officer per l’Italia della non profit
«Nel settore trasporti l’elettrificazione è la via da seguire. Lì dove non si può, bisogna valutare la sostenibilità delle proposte. Siamo a favore degli e-fuel nei trasporti pesanti, ma i carburanti sintetici non arriveranno presto. I biocarburanti sono una tecnologia disponibile, ma con evidenti problemi». Carlo Tritto, policy officer per l’Italia di T&E (Transport & Environment), non profit con sede a Bruxelles che fa pressioni sulle istituzioni per la sostenibilità in ambito trasporti, ha presentato a StartupItalia gli ultimi dati che riguardano il lato tutt’altro che green dei biocarburanti. Un esempio chiarisce il quadro: per un volo da Parigi a New York potrebbero servire in futuro fino a 8.800 maiali morti. Spieghiamo ulteriormente: questa sarebbe la quantità di suini necessaria a ricavare i grassi animali con cui produrre il carburante utile per quella tratta aerea, nel caso di un volo alimentato al 100% da biodiesel.
Lo scontro in Europa
I dati sulle problematiche dei biocarburanti sono stati pubblicati nello studio di T&E. A marzo 2023 l’Europa ha preso un’importante decisione in materia di transizione energetica: è stata infatti approvata la deroga che consentirà dal 2035 la vendita non soltanto di auto elettriche, ma anche di auto tradizionali, purché alimentate da carburanti sintetici, i cosiddetti e-fuel. La novità ha fatto felice la Germania, che ci investe, mentre ha scontentato l’Italia che puntava di più sui biocarburanti e sperava potessero rientrare come carburante ammesso.
Come spiega T&E l’Italia è il principale utilizzatore dei biocarburanti: impiega circa il 50% di tutto lo stock UE di queste materie prime “di scarto” e risulta essere il primo utilizzatore di grassi animali di categoria 1 e 2 nella produzione di biodiesel: si calcolano 440mila tonnellate raffinate nel solo 2021.
E-fuel: possiamo davvero puntarci?
Ma gli e-fuel sono davvero l’alternativa più facile? «Dobbiamo partire da un elemento: sono costosi e noi non ne vediamo un ruolo preponderante nei trasporti. L’industria che li produrrà ha fatto un stima: i carburanti sintetici rappresenteranno il 3% di quelli disponibili alla pompa entro il 2035». Il fatto che siano a zero emissioni dovrebbe suggerire un’altra strada. «Avranno un ruolo fondamentale nella decarbonizzazione del settore aereo, con il kerosene sintetico, e di quello marittimo».
Spostiamoci ora sui biocarburanti, quelli su cui il nostro Paese punta molto. Secondo la non profit, l’uso di biodiesel a base di grassi animali è raddoppiato negli ultimi dieci anni ed è 40 volte superiore rispetto al 2006. I legislatori europei hanno promosso questo sottoprodotto della zootecnia intensiva come una soluzione per ridurre la carbon footprint dei carburanti per il trasporto: si è partiti dalle automobili fino a estendere l’impiego di questi prodotti anche agli aerei e, in misura minore, alle navi.
Biocarburanti: che dice l’etichetta?
Sui biocarburanti l’Italia non è che si sia mossa da sola. La Direttiva europea sull’Energia Rinnovabile (RED) incoraggia la produzione di grassi animali per i carburanti da trasporto, consentendo ai fornitori di carburante di raggiungere gli obiettivi sulle rinnovabili grazie al loro utilizzo. La RED, infatti, dà priorità alle categorie 1 e 2 per i carburanti da trasporto, assegnando loro il doppio del loro contenuto energetico (e quindi un doppio incentivo economico) nel raggiungimento degli obiettivi.
L’anno scorso, i Paesi europei hanno dichiarato di consumare una quantità di biocarburanti derivati da grassi animali delle categorie 1 e 2 doppia rispetto alla produzione dichiarata dalla stessa industria zootecnica. Secondo T&E questo dato suggerirebbe che i grassi animali di categoria 3, quelli di qualità superiore, potrebbero venire etichettati in maniera fraudolenta come categorie 1 e 2 per poter beneficiare dei vantaggi economici riconosciuti con i doppi incentivi. Poiché i grassi animali hanno un valore maggiore se commercializzati come carburanti da trasporto, c’è il rischio che i produttori e i fornitori declassino i grassi di alta qualità per indirizzarli alla produzione di combustibili.
«Gli usi concorrenti dei grassi animali mettono a nudo la sfida di incrementare la produzione di biocarburanti di scarto. I grassi animali provengono dall’allevamento intensivo. È semplicemente l’ennesimo greenwashing legato ai biocarburanti – conclude Tritto -. I prodotti di scarto sono pochi e necessari per altre industrie e invece vengono utilizzati, probabilmente con etichettature fraudolente, per la produzione di biocaburanti che riducono le emissioni solo in teoria. Se questi vettori sono analizzati nel loro intero ciclo di vita ci si rende conto che emettono più del diesel fossile».