Con 28 round chiusi fra gennaio e novembre 2023 le realtà dell’agrifood hanno raccolto quasi 96 milioni di euro. Ma quali saranno i trend del settore? Il presidente di Coldiretti Ettore Prandini: «Oggi la merce viaggia per l’87% su gomma, ma il mare sarà la nostra autostrada del futuro. Investire in formazione è centrale»
Di “Agritech” se ne sta parlando – e se ne parlerà – sempre più spesso. Oltre a rappresentare un settore chiave per lo sviluppo dell’economia italiana e del nostro PIL, questo comparto oggi si trova dinanzi a molteplici sfide: da una parte deve fare i conti con i cambiamenti climatici, da un altra è chiamato a diffondere nuove pratiche di agricoltura rigenerativa per abilitare nuove forme di reddito, oltre a garantire produzioni stabili e sostenibili. Un ruolo fondamentale lo gioca proprio la tecnologia, non solo i macchinari e le attrezzature, sempre più interconnessi, ma la stessa capacità degli agricoltori di sapersi approcciare e gestire al meglio le ultime innovazioni. Dall’ultima analisi realizzata da Growth Capital in merito agli investimenti in startup operative nei settori Food & Agricolture, con 28 round chiusi fra gennaio e novembre 2023 (pari a un decimo delle operazioni venture capital complessive), le realtà dell’Agrifood in Italia complessivamente hanno raccolto quasi 96 milioni di euro. L’attenzione al tema da parte degli investitori, dunque, c’è, ma l’Italia quanto è ferrata in tema di innovazione? E a quali ostacoli oggi ci troviamo di fronte? Abbiamo affrontato il tema con Ettore Prandini, presidente di Coldiretti.
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Presidente, l’Italia è una nazione innovativa nell’Agritech?
L’innovazione nell’agricoltura è oggi di fondamentale importanza e la nostra Penisola rappresenta un’eccellenza da questo punto di vista, con investimenti che negli ultimi 5 anni hanno segnato una crescita decisiva. Un ritmo costante che riteniamo debba essere sostenuto anche nei prossimi anni. In questo momento ci troviamo dinanzi a numerose sfide che hanno a che fare, in particolar modo, con l’agricoltura di precisione, nelle fasi di trasformazione dei prodotti, con QR code e tramite smartphone che permettono la distintività e la tracciabilità delle caratteristiche dei nostri prodotti alimentari. Oggi la nostra agricoltura è quella più sostenibile a livello mondiale rispetto ai processi produttivi, ma quando parliamo di “innovazione” non va intesa come strettamente legata soltanto al lato tecnologico ma anche alle dinamiche dei mercati.
Quali ostacoli ravvede in questa direzione?
Sono convinto che si debba investire in formazione, non solo all’Università ma già a partire dagli istituti tecnici che devono fornire strumenti adeguati per utilizzare al meglio gli investimenti fatti nelle nostre imprese. In questo senso si deve puntare su una formazione continua e costante. Inoltre, assume tanta rilevanza il ricambio generazionale. Se noi guardiamo le domande di nuovi insediamenti, il 50% oggi sono presentate da uomini e il 50% da donne. Questo è un grande passo in avanti in un settore che storicamente è stato esclusivamente maschile. Anche da questo punto di vista mi aspetto che questa crescita si mantenga costante nel tempo.
Oggi si può quindi parlare di parità di genere in questo campo?
Sì, siamo sulla buona strada. Ho sempre pensato che una donna non solo possa avere le stesse abilità di un uomo ma che abbia anche una sensibilità maggiore in termini di comunicazione e presentazione dei prodotti, marketing, e attenzione all’impatto sociale. Nell’hi-tech applicato all’agricoltura stiamo crescendo molto e spesso importiamo eccellenze da altri Paesi quando ce le abbiamo “in casa”. Basta trovarle e sapere come tenersele strette.
Con quali Paesi lavoriamo in sinergia?
Abbiamo instaurato un rapporto significativo con le startup israeliane nella robotica, nel monitoraggio con i droni e nei sistemi di irrigazione. Anche in questo senso abbiamo fatto molti passi in avanti perchè una volta ci si approcciava condividendo informazioni, adesso invece abbiamo costruito delle relazioni B2B tra imprese italiane ed estere anche esportando le nostre conoscenze e creando, appunto, nuove sinergie.
In che cosa siamo eccellenti?
L’Italia è all’avanguardia nei sistemi di irrigazione, abbiamo già sperimentato alcune filiere dove siamo riusciti a ottenere un risparmio del 30% mantenendo invariata la capacità produttiva ma implementando la sensoristica. Nell’agricoltura di precisione innoviamo continuamente e abbiamo ricostituito gran parte delle risorse che ci vengono messe a disposizione. L’altra faccia della medaglia riguarda proprio la capacità di assorbire e trarre vantaggio da queste risorse: alcune regioni italiane oggi sono in grado di farlo, altre purtroppo no.
Quali auspici per il futuro?
In futuro non ci potremmo più permettere di bruciare queste risorse: i futuri piani di sviluppo rurale sono al centro della nostra economia con misure che si devono attuare in modo ancora più specifico. Nella politica degli ultimi anni ci si è approcciati sul dare risposte a situazioni di emergenza, ma facendo così ogni anno perdiamo qualcosa in termini di competitività sulle attività produttive e sull’agroalimentare. In questo senso, il tema delle esportazioni e delle infrastrutture dei trasporti è centrale. La merce viaggia ancora per l’87% su gomma, ma bisogna aprirci a un meccanismo misto, sia su rotaie per andare nel cuore dell’Europa, che via mare attraverso il Mediterraneo. Il mare sarà proprio l’autostrada del futuro. Nell’ortofrutta, per esempio, dieci anni fa la Spagna esportava per 3 miliardi e mezzo, contro i 5 miliardi dell’Italia. Oggi il trend si è completamente capovolto, a favore della Spagna che ha raggiunto i 14 miliardi di export contro i 4.9 miliardi del nostro Paese. La sfida nel sistema logistico e infrastrutturale è dunque stata vinta da Madrid ma questo è un altro dei temi sui quali ci si deve concentrare nei prossimi anni, per poter colmare il divario ed essere competitivi sui mercati. Dobbiamo, inoltre, adottare politiche di pianificazione e iniziare a costruire. E tutto questo deve cominciare dalle istituzioni.