Un obiettivo: digitalizzare 4 milioni e 200 mila campioni vegetali dell’Erbario Centrale Italiano per la maggior parte conservato al museo di Storia Naturale dell’Università di Firenze. Con questa missione, meno di un mese fa, ha preso il via una tra le operazioni più significative in ambito scientifico-naturalistico degli ultimi decenni, che si avvarrà di un finanziamento di quasi 7 milioni di euro come parte del National Biodiversity Future Center. Un progetto che è stato seguito dal responsabile scientifico del progetto per l’Erbario Centrale Italiano dell’Università di Firenze, Alessio Papini, da Stefano Cannicci, responsabile scientifico del NBFC per l’ateneo fiorentino, da Elena Canadelli dell’Università di Padova e responsabile del progetto per la digitalizzazione, e da Luigi Fiorentino, presidente del National Biodiversity Future Center.
Dal capoluogo toscano, l’iniziativa si è allargata a tutta Italia, con l’idea che presto possa diventare un riferimento anche oltre i confini nazionali e che tutti possano godere di questo patrimonio gigantesco semplicemente accedendo a un sito web. A raccontarci le ambizioni dell’Erbario Digitale e le nuove frontiere dell’open innovation nel settore è il responsabile scientifico Alessio Papini per il nostro consueto appuntamento del giovedì con il Viaggio in Italia.
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Flora al digitale
Con oltre 2 milioni di campioni botanici stimati, l’Erbario Centrale Italiano del museo di Storia Naturale dell’Università di Firenze, è il più grande italiano e tra i più importanti al mondo. Al suo interno è conservata anche una collezione privata del noto botanico e naturalista Philip Barker Webb, raccolta principalmente tra la fine del Settecento e la metà dell’Ottocento, alcuni campioni raccolti da scienziate italiane come Elisabetta Fiorini Mazzanti (1799-1879) e Silvia Zenari (1895-1956), dello svedese Carl P. Thunberg, dell’archeologo Domenico Sestini, del fiorentino Fosco Maraini, che si spinse fino in Tibet, ma anche campioni che provengono dalla Lapponia, dalla “Mesopotamia”, dalla Grecia e dalla Turchia. Qui la storia della botanica italiana e il futuro della ricerca sulla biodiversità si incontrano, nel segno del tech. «È stato avviato un piano di digitalizzazione massiva dell’Erbario Centrale Italiano in collaborazione con l’Università di Padova e, in particolare con Picturae, un’azienda olandese che opera a livello mondiale. Utilizzando la tecnologia a nastro trasportatore, ogni giorno vengono digitalizzati circa 10.000/12.000 campioni, per un totale di 4 milioni e 200mila campioni, la cui conclusione è prevista per la fine di agosto 2025 – racconta il botanico Papini – Molti settori della biologia sono enormi database di informazioni fisiche che contengono campioni derivanti da meccanismi viventi e sono messi a disposizione degli altri sotto forma di campioni essiccati. In questi luoghi fisici si possono ricavare informazioni su chi ha raccolto il campione, quando, dove e con quali metodi. Questo tipo di analisi richiede un accesso diretto a un campione fisico. Ma se, per esempio, volessi studiare una pianta conservata in America dovrei fisicamente andare là. Grazie alla digitalizzazione, tutto questo diventa smart e gli accessi sono possibili da qualsiasi luogo ci si trovi, basterà avere a disposizione una banale connessione Internet».
Quali erbe si possono trovare online
L’idea della digitalizzazione dell’erbario, che sta piano piano diventando realtà, prende in considerazione campioni di erbe dal ‘600 in poi: «Tramite lo scansionamento – racconta il responsabile Papini – stiamo costruendo un database di immagini che contengono informazioni molto importanti per gli studiosi di biologia. Per esempio, si può sapere quali piante ci sono, ad esempio, nella provincia di Grosseto, quali sono state trovate nell’800 e non nel ‘900, quali si sono estinte e quali, invece, hanno ridotto la propria consistenza sul territorio. Per riuscire a mettere a terra il progetto abbiamo usato una serie di strumenti dell’azienda olandese grazie ai quali possiamo mettere a disposizione di tutti milioni di campioni di piante ed erbe con le relative informazioni».
Un grande esempio di come l’open innovation sia oggi sempre più pervasiva in tutti i settori, compreso quello della botanica: «Gli erbari sono in stretto legame l’uno con l’altro, ce ne sono tanti nel mondo, penso a quelli di Madrid, Parigi, Ginevra, Berlino, negli USA – racconta il responsabile – Ma è necessario un collegamento tra questi per lo studio approfondito delle piante. E questa è la prima volta che lo si fa per milioni di campioni contemporaneamente, anche se sono operazioni che richiedono tempi lunghi. Noi siamo partiti da uno scansionamento su piccola scala ad uno su grande scala».
La centralità dell’open innovation
Ma questo grande esempio di come l’open innovation giochi un ruolo cruciale anche nella botanica quale ritorno può avere? Lo abbiamo chiesto allo stesso Alessio, che ci ha risposto così: «Abbiamo un’enorme quantità di immagini ad alta definizione che ha anche un potenziale valore economico. Dipende da come lo si vuole sfruttare. Gli erbari più antichi sono quelli toscani perché i botanici più influenti si trovavano in questa terra ed erano pensati come un complemento degli orti botanici. Questi hanno un valore non solo economico ma fondamentale per la scienza, si pensi anche solo alle implementazioni che avevano – e che hanno – nel settore farmaceutico e medico. Mentre prima queste piante avevano una stagionalità, nell’erbario si possono trovare i campioni essiccati».
E non mancano esemplari molto rari: «Ogni pianta ha la sua storia ma ce ne sono alcune che sono rarissime, come un campione di un’alga rossa del Mediterraneo che è stato scoperto per la prima volta a Bocca di Magra, tra la Toscana e la Liguria e che è stato ritrovato soltanto a Girona, nella Catalogna». Insomma, condividere queste informazioni con gli altri enti del mestiere potrebbe dare una notevole spinta anche alla scienza.
Quale futuro per l’Erbario digitale
Tutto questo adesso è possibile grazie ai finanziamenti del PNRR per il National Biodiversity Future Center, di cui è parte il programma di digitalizzazione dell’erbario digitale, ma l’ambizione è quella di strutturare un’iniziativa che sia capace, poi, di camminare da sola, come racconta il responsabile Papini: «Servirà valutare i risultati ottenuti una volta che saranno terminati i fondi del PNRR. In questo frattempo, bisognerà avvalersi di una struttura che si autosostenga con progetti di sostanza per ottenerne vantaggi scientifici e tecnologici, e in questo processo la digitalizzazione dell’erbario si trova al centro, garantendo un database unico nel suo genere».
Ma in termini economici tutto questo quanto vale? «Per quantificare un ritorno economico in questo ambito bisogna prendere in considerazione una serie di aspetti marginali, come il valore delle immagini, se si decidesse di commercializzarle. In realtà, il valore più importante riguarda la possibilità di utilizzare come punto di partenza questi campioni scansionati per un potenziale utilizzo di una serie di piante in campo farmaceutico. Tra questi, per esempio penso alle morfine, alla cannabis, che sta assumendo sempre più importanza. Per ricavare un medicinale da queste essenze bisogna partire proprio dai campioni che si trovano nell’erbario».