«La post verità non mi sembra un concetto nuovo. C’è sempre stata: i fatti contano meno, è più importante la loro narrazione. È sempre stato così, fa parte del percorso dell’uomo». Pablo Trincia è un appassionato di storie. Le racconta da anni usando la propria voce in alcuni dei podcast di maggior successo in Italia (Veleno, Il Dito di Dio, Megalopolis, E poi il silenzio). Ma quel che cerca in ciascuna di esse è la verità, o le verità che le compongono.
«Intendo la verità come un tesoro da trovare, da dissotterrare. È un qualcosa di sepolto, che qualcuno cerca di nascondere, su cui sale per non farti scavare». Nell’epoca delle narrazioni alternative, dei complotti disponibili quasi fossero à la carte sul web, lavorare nella comunicazione non è facile.
Autore di “Come nascono le storie”, volume edito da Roi, Pablo Trincia parlerà del suo lavoro e dell’impegno nel raccontare eventi che hanno sconvolto l’opinione pubblica e casi di cronaca dal palco di SIOS24, il 17 dicembre a Palazzo Mezzanotte a Milano. Prima con un inspirational speech e poi nell’illimity talk insieme al Ceo Corrado Passera, discuterà di post-verità e di un’epoca, la nostra, in cui la memoria collettiva e i fatti sembrano opzioni nel mare magnum del web.
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Pablo Trincia, le lingue come luogo sicuro
Appassionato di lingue, moderne e antiche (ne conosce sette), Pablo Trincia collega il dibattito contemporaneo sulle fake news e sul loro impatto nell’opinione pubblica con un trend che affonda le proprie radici nelle origini dell’umanità e soprattutto della comunicazione. «Sto traducendo trascrizioni mesopotamiche in cui i re fanno proclami di quello hanno fatto, di cosa hanno distrutto. Questo è quello che ci arriva, ma magari è solo propaganda».
Abituato a lavorare con la voce, la principale passione di Pablo Trincia è in effetti lo studio delle lingue. «Ho sempre avuto una fascinazione per quelle mesopotamiche e ho cominciato a studiare il sumerico perché mi appassiona la scrittura cuneiforme e il modo in cui è stata interpretata. Ho in programma di spostarmi sul paleo babilonese».
Nel corso degli ultimi anni lo abbiamo conosciuto per i successi dei suoi podcast, le cui storie lo hanno messo a confronto con tante ingiustizie, da cui non nasconde di essere uscito provato. Ecco allora che le lingue svolgono una funzione quasi terapeutica. «Mi aiuta, mi fa stare bene, è un mondo lontano, è un mondo silenzioso dove sento di esprimere il mio vero talento».
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Una riflessione sulla verità ci può spingere anche a pensare che conoscere più vocabolari favorisca una maggiore apertura alla diversità e alla complessità del mondo, pronti ad accoglierne tutte le contraddizioni. «La cosa che amo di più – ha argomentato Trincia – è il fatto che parlare un’altra lingua ti trasforma: diventi un’altra persona, cambi il modo di pensare, di porti, di cercare metafore. È sempre stato un gioco per me. Ne conosco sette, alcune dormienti. Si risvegliano quando torno in un posto».
Esiste l’antidoto alla post verità?
Nell’epoca in cui il sacrosanto diritto di parola e di opinione viene confuso con il diritto di dire quel che si vuole senza mai pagarne le conseguenze o assumersi fino in fondo le responsabilità, lo sforzo nella ricerca della verità è quantomeno controcorrente. La post-verità, come ci ha detto Trincia, è stata sempre nemica della verità. «Quando non è stato così, mi chiedo? Quello che oggi dice Trump non è molto diverso da quello che avrebbe detto nei confronti dei sovietici un politico americano durante la Guerra Fredda. Per queste persone non è importante la verità. Ma portare avanti una narrazione».
Con tale approccio al mestiere e alla vita la conseguenza è quella di perdere fiducia nei confronti degli altri e del futuro? «È inevitabile. I drammi succedono, le tragedie pure. Il male è ovunque intorno a noi. Quello che ti aspetti, ogni tanto, è che ci sia una giustizia che ripara. Ma spesso è la grande assente, approssimativa e incompleta. Una ragazza scompare e la Procura non indaga per anni, e poi nessuno paga per quegli errori».
Nello scenario attuale c’è poi l’imprevedibilità dell’AI, tecnologia che non soltanto rischia di violare il diritto d’autore con gli algoritmi che setacciano gli archivi e il web. Anche in questo caso il rischio post-verità esiste: quante fake news e video falsi possono essere creati? «Sono cinico a tal proposito: ma davvero c’è bisogno dell’Intelligenza artificiale perché l’uomo diventi un truffatore? Lo siamo sempre stati. Non è lo strumento in sè, ma chi lo utilizza. Se non ci fosse l’AI saremmo per caso più onesti?».
L’ultimo suo lavoro – E poi il silenzio – racconta la tragedia dell’hotel Rigopiano. Abbiamo chiesto a Trincia quali sono i tratti che cerca in una storia prima di decidere di raccontarla. «Se una storia mi piace ci salto su. Deve avere forza e un significato più alto, che vada oltre il fatto in sè». Le persone poi, come ci ha spiegato l’autore, rispetto al dramma «lo guardano, lo studiano, vogliono vederlo da una postazione di sicurezza».