Il colosso cinese degli smartphone è pronto a sbarcare alla borsa di Hong Kong con un’Ipo da record. Ecco quali sono i segreti del successo dell’azienda che mira a espandersi sempre di più a livello globale, Italia compresa
La chiamano la Apple cinese. Ma in realtà Xiaomi è una creatura del tutto originale. Il ceo e plenipotenziario Lei Jun potrà indossare ogni tanto qualche maglione nero alla Steve Jobs e presentare le novità della casa in uno stile che ricorda quello reso celebre da Cupertino, ma le caratteristiche del colosso della telefonia del Dragone.
Xiaomi arriva in Borsa
Partiamo dalla fine. Xiaomi è pronta, durante l’estate, a sbarcare alla borsa di Hong Kong. Secondo quanto affermato dall‘Economist, la quotazione iniziale sarà compresa tra i 50 e i 75 miliardi di dollari. l lancio dell’azienda cinese potrebbe essere uno dei più grossi dai tempi della quotazione di Alibaba a Wall Street nel 2014. Xiaomi starebbe valutando un’entrata di 10 miliardi di dollari, spiega Reuters. E si tratterebbe della più grande Ipo degli ultimi quattro anni. Un’operazione che avrebbe tra i tuoi sponsor veri e propri giganti della finanza come Goldman Sachs, Morgan Stanley, Credit Suisse, Deutsche Bank e JP Morgan Chase. Insomma, il gotha a livello mondiale. Questo nonostante il primo trimestre 2018 sia stato chiuso con una perdita netta di 1,09 miliardi di dollari su 5,3 miliardi di ricavi. Si tratta di numeri comunque in ripresa rispetto al risultato complessivo del 2017, che aveva visto l’azienda cinese chiudere in negativo di 6,8 miliardi in un anno dove le consegne di smartphone erano calate un po’ ovunque. Un bilancio che però, se si escludessero le voci uniche, ritornerebbe in attivo con un profitto netto di 3,9 miliardi per tutto il 2017.
Il grande salto
Xiaomi è pronta a fare il grande salto. Dopo la crescita esponenziale delle vendite sia sul mercato interno che su quello estero, tanto che quelle al di fuori della Cina hanno raggiunto tassi di crescita fino all’88 per cento con incassi in clamoroso incremento, come Startupitalia! aveva già evidenziato nell’estate del 2017. L’azienda, che si sta espandendo rapidamente a livello globale, sta aprendo un po’ ovunque flagship store e centri di ricerca, compresa l’Italia. E l’obiettivo dichiarato è quello di posizionarsi tra i top vendor in almeno 16 dei 70 Paesi in cui Xiaomi è presente. Insomma, un’azienda che sembra pronta a entrare di diritto tra i colossi mondiali della tecnologia. E non solo per gli smartphone, che pure rappresentano la voce di ingresso principale nel bilancio dell’azienda, ma anche diversificando. Allo scorso Mobile World Congress di Barcellona, per esempio, Xiaomi ha portato un nuovo processore consacrandosi come chipmaker.
Le origini di Lei Jun
Ma come si è arivati fin qui? Qual è il business model? E chi è il ceo, l’uomo che secondo qualcuno tenta di imitare Steve Jobs? Nato nel 1969 a Xiantao, nel cuore della Cina, Lei Jun si laurea nel 1991 in Ingegneria Informatica alla Wuhan University. Poco dopo ottiene un lavoro all’interno di Kingsoft, compagnia specializzata nella creazione di software con sede a Pechino. Inizia come ingegnere ma in breve tempo raggiunge il grado di ceo. Nel 2000 fonda Joyo.com, una piattaforma e-commerce che viene poi comprata da Amazon per 75 milioni di dollari quattro anni più tardi. Il 2010 è l’anno decisivo. Lascia Kingsoft e fonda Xiaomi insieme ad altri investitori, ricoprendo da subito il ruolo di presidente e ceo.
Lo Steve Jobs cinese
Xiaomi inizia producendo solo smartphone. E punta sulla qualità. Una scelta che adesso per la Cina può sembrare ovvia, ma che non lo era otto anni fa. In molti paragonano Lei Jun, soprattutto nei primi anni, a Steve Jobs, o quantomeno sostengono lo voglia imitare con i suoi maglioni neri e lo stile personalistico e scenografico della presentazione dei nuovi prodotti. Ma lo stile di guida di Lei Jun si fa molto diverso dal modello della Silicon Valley nel corso degli anni. Lei Jun ama diversificare e procedere in maniera spesso nervosa e imprevedibile sul mercato tech. Dagli smartphone amplia rapidamente il suo spettro di azione a un largo campionario di prodotti hi-tech: dai router alle batterie, dagli accessori per tablet ai braccialetti fitness fino, come detto, a chip e processori. Ma Lei Jun, sposato e con due figli, non è solo un amministratore delegato. È anche, e forse soprattutto, un investitore. Già nel 2011, un anno dopo la nascita di Xiaomi, aveva investito in oltre 20 startup cinesi. Cifre che si ripetono ogni anno, e che anzi stanno aumentando. Un elemento che sta portando Xiaomi ad avere una struttura sempre più tentacolare e diffusa, impegnata in diversi settori dell’innovazione del Dragone. Lei Jun è presente in tante partite. Tanto che nel 2014 diventa l’ottava persona più ricca di Cina con un patrimonio netto di 9,9 miliardi di dollari. Lo stesso momento in cui Forbes lo elegge uomo d’affari asiatico dell’anno. Nel frattempo il suo patrimonio è aumentato ancora, arrivando a superare i 35 miliardi di dollari. Ma Lei Jun non vuole fermarsi qui. Xiaomi ha il vento in poppa, grazie anche alla ricetta che combina un’alta qualità a prezzi più bassi rispetto alla concorrenza internazionale. E la diversificazione sta dando frutti sempre più consistenti, con il settore dell’Internet of Things che continua a scalare posizioni tra le fonti di guadagno del colosso cinese. Ormai sempre meno persone chiamano Lei Jun “lo Steve Jobs cinese”. La sensazione è che in molti impareranno il suo nome molto presto.