Intervista all’atleta paraolimpica portabandiera italiana delle paraolimpiadi Rio 2016. Martina è alla sua seconda olimpiade, ha già vinto una medaglia d’oro a Londra 2012
Un momento che spezza la vita e, durante una corsa in motorino, ti porta via una gamba: questo sta dietro la tenacia e il sorriso di Martina Caironi, atleta paraolimpica portabandiera italiana delle paraolimpiadi Rio 2016. Questa, per lei e la protesi che le ha sostituito la gamba destra dopo l’incidente del 2007, è la seconda olimpiade. Martina, che novellina non lo è più con la sua medaglia d’oro ai giochi paraolimpici di Londra per l’atletica leggera e i suoi 5 record mondiali, è anche entrata a far parte del Samsung Galaxy Team, una squadra di 7 atleti azzurri pronta a far vivere a 360 gradi l’emozione delle proprie discipline, attraverso la campagna “Molto più che Olimpiadi. Vivi Rio 2016 a 360°”, avvicinando tutti gli Italiani agli sport olimpici grazie alla tecnologia. E pensare che a questa 27enne la tecnologia e i social non piacciono. Fosse per lei sarebbe sempre in pista a correre.
Nel 2007 la “variabile X” come l’ha definita al TEDxBergamo le ha causato l’amputazione della gamba sinistra sopra il ginocchio. Nonostante questo Martina ha investito una quantità di energia enorme nella sua passione, lo sport, raggiungendo risultati importanti, che le sono valsi il riconoscimento del CONI e quella bandiera con cui sfilerà a Rio. “Quando mi hanno comunicato che sarei stata la portabandiera italiana per le paraolimpiadi di Rio 2016, devo dire che non me l’aspettavo. Stavo vivendo un momento difficile a causa di un infortunio ed era l’ultima cosa a cui pensavo”, spiega Caironi. “È stato un segno di fiducia da parte del presidente del Cip (Luca Pancalli, ndr) perché è un incarico molto importante: sento ti non rappresentare solo l’atletica italiana, ma di avere una responsabilità più grande”.
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Martina gira l’Italia per raccontare la sua storia, portare il suo esempio e la sua tenacia durante incontri e convegni. Comunica attraverso i social, anche se vive il rapporto con computer e cellulare in modo un po’ forzato. “Sto imparando, diciamo! Ma ogni tanto ne rifuggo perché penso che passarci troppo tempo ti distolga dalla realtà, che è un mix tra contatti, comunicazioni, telefono, whatsApp, è vero, ma soprattutto è fatta di rapporti umani”. Tuttavia comunicare la sua storia è indispensabile, per lei e per chi l’ascolta. “La vita era lì ad aspettarmi, la posta in gioco era troppo alta, a 18 anni devi esplodere, non puoi rimanere seduto sul divano a piangere” e ha deciso di ricominciare a vivere. Ecco gli allenamenti, i mondiali di atletica, i record. L’ultimo Nel 2015 a Doha, Qatar, nei 100 metri. Rimanere sotto i 15 secondi significa soddisfazione e conferma del lavoro fatto in allenamento. “Poi viene il momento della gara”, spiega Martina. “Se si è preparati, con costanza e dedizione, anche facendo fatica, la gara è solo una verifica. È allora diventa fondamentale mantenere la concentrazione e correre”.
Perché lo sport richiede fatica prima di dare soddisfazioni, dice l’atleta. “Bisogna rimboccarsi le maniche. Chi supera questa prima difficoltà può andare avanti. All’inizio magari non sarà così facile, soprattutto nell’atletica, ma poi posso dire che ne vale la pena. Anzi più ne fai, più ne vorresti fare. Diventa quasi una dipendenza! In questo momento è una parte fondamentale della mia vita: mi aiuta tantissimo a sentirmi appagata perché mi restituisce anche più di quello che do. Io ci metto energie e sforzo, ma quello che ho indietro è benessere e autostima”. In bocca al lupo, Martina!