Piccola storia dell’ecosistema romano delle startup. Dai primi incontri, dalle prime associazioni, dalle prime startup ad oggi. Casi, successi, persone
A guardarlo dall’alto, con uno sguardo lungo nove anni, è incredibile vedere quanta strada ha fatto l’ecosistema laziale (e romano) delle startup. Oggi i dati vogliono che ci siano 602 aziende iscritte al registro delle startup innovative, dove Roma ha il primato assoluto con 521 startup iscritte. 20 hub diffusi solo nella capitale. 31 operazioni di venture capital per 15 milioni investiti nel biennio 2013-2015 (dati AIFI). E operatori internazionali che cominciano a guardare alle startup romane. Eppure fino a una manciata di anni fa pochi, pochissimi avevano consapevolezza di cosa volesse dire la parola startup. Per non parlare di cosa volesse dire fare startup. La storia delle startup a Roma è breve. Ma ricca di eventi e di attori che hanno reso possibile una crescita rapida dell’ecosistema.
I primi incontri con l’ambasciatore Spogli: a Roma si comincia a parlare di startup
Anno 2007. Facciamo partire da qui idealmente la data dove le cose hanno un inizio. L’ambasciatore americano a Roma Ronald Spogli organizza una serie di eventi con alcuni dei maggiori rappresentati dell’economia digitale italiana. Tra loro c’erano nomi Paolo Barberis, allora Dada, Riccardo Donadon, founder di H-Farm, Gianluca Dettori di dpixel, Gianmarco Carnovale, imprenditore e presidente di Roma Startup, Stefano Quintarelli, imprenditore anche lui e Fabrizio Capobianco, founder di Tok.tv. Obiettivo degli incontri che li raccoglieva nei giardini di Villa Taverna, era diffondere la cultura del venture business in Italia. Rappresentanti di diverse aree del paese convenivano a Roma per discutere. Immaginare. Provare far germogliare qualcosa nelle loro zone. Tutti i nomi che hanno partecipato a quegli incontri oggi sono tra i principali attori dell’ecosistema italiano. In patria e all’estero. Ma il seme di tutto quello che sarebbe successo dopo, possiamo dire, è partito da lì.
Gli incontri al BaraBook del primo nucleo di startupper romani
Anno 2009. Un gruppo di ragazzotti poco più che vententenni cominiciano a fissare degli incontri, delle cene, in diversi bar della capitale. Il primo, ricordano, al BaraBook di San Lorenzo. In questa foto un po’ di persone che partecipavano a quegli incontri che poi si sono trasformati in Roma UpStart. Se vogliamo, il primo embrione di associazione romana delle startup. Tra loro Stefano Bernardi, Guk Kim, Andrea La Mesa, Johanna Brewer, Francesco Sullo. Al primo incontro ufficiale dell’associazione si sono presentate startup come RobinGoods e Stereomood. Sul sito che li organizzava, scrivevano così: “Roma ha bisogno di un punto d’incontro dove potersi conoscere, scambiare idee, trovare collaboratori per i vari progetti che continuano a nascere ed ottenere feedback su quelli già avviati. Con UpStart Roma cerchiamo di fare appunto questo”. 19 novembre 2009. Ognuno di quei ragazzi ha avuto un ruolo importante e oggi continuano a lavorare in qualche modo in quella che chiamiamo economia digitale. Stefano Bernardi, per esempio, ha fatto startup in Silicon Valley (Betable) e poi ha creato un fondo di venture (Mission and Market). Guk Kim ha creato qualche startup prima di fare Cibando, venderla a Zomato, e ritornare come manager per Citymapper in Italia. Francesco Sullo lavora per Yahoo in Silicon Valley. Ognuno di loro ha una storia. E ognuno di loro, dal basso, è stato un tassello determinante di quello che c’è oggi.
La primissima sede di Luiss Enlabs (che oggi è grande come Termini)
Anno 2009-2010. In una piccola sede a pochi passi dalla stazione Termini nasce Luiss Enlabs. Via Montebello 8. Il primo nucleo di Luiss Enlabs. Forse nemmeno i fondatori si aspettavano che da lì a sei anni sarebbero diventati grandi quanto un’intera ala di Termini di via Marsala. Dal primo banch di startup accelerate, oggi, dopo nove investor day, sono arrivati a ricoprire uno spazio di 5mila metri quadri. Una sessantina di postazioni per le startup. E una qualità di imprese accelerate che migliora anno dopo anno. Nel team insieme ad Luigi Capello (ceo) ci sono altri nomi che hanno fatto la storia delle startup della capitale. Stefano Pighini, Augusto Coppola e Valerio Caracciolo, Antonio Conati Barbaro Gianmarco Carnovale e Giovanni Gazzola. Durante l’inaugurazione della nuova sede, avvenuta qualche giorno fa, hanno annunciato che entro il 2017 apriranno il primo acceleratore Luiss Enlabs a Milano.
Le gemme dell’ecosistema romano
Gli anni successivi sono quelli che hanno visto nascere i primi hub. Le prime assciazioni. Le prime istituzioni. E le prime startup. Nasce Working Capital su idea di Salvo Mizzi (adesso è il ceo di Invitalia Ventures) e lo guida agli inizi una degli animatori più attivi della startup scene romana: Fabio Lalli, cofounder di IQUII, venduta lunedì 11 luglio al gruppo BE. C’è Bic Lazio, società della Regione Lazio che promuove lo sviluppo di startup attraverso la propria rete di incubatori sul territorio. Nicola Mattina (Stamplay, Tag Roma) porta nella capitale il Founder Institute. Alessandro Nasini lancia Startalia nel 2013. Oggi gli hub a roma sono una ventina. Solo per citare gli ultimi, a Roma Peter Kruger di Startup Bootcamp ha annunciato la nascita di un acceleratore dedicato esclusivamente alle startup del food. E Luca La Mesa lancerà a breve SingularityU, un programma della Singularity University nella Capitale. Lato startup, le prime che si registrano nella capitale nel 2009 sono Qurami (che alcuni considerano quella più “anziana” di tutte) Pubster e Cocontest. Solo per fare alcuni nomi.
Il modello InnovAction Lab
Alcune delle prime startup vengono da quella che molti considerano una delle esperienze più belle mai avute nella Capitale. InnovAction Lab. Un programma che ha avvicinato finora centinaia di giovani al mondo dell’impresa. Dall’idea alla realizzazione, un percorso veloce, che puntava dritto al prodotto. Da lì sono passate startup come Atooma, Filo, Tutored, Solo, Cocontest, Eco4Cloud, GamePix. Startup che hanno fatto bene, e tanto (nei link ci sono le volte in cui abbiamo raccontato alcuni dei i loro successi, e oggi si tratta aziende solide). E il loro percorso in molti casi è partito proprio da lì, da quel corso accelerato di tecniche di impresa che si svolgeva gratuitamente in diverse città italiane da Roma a Milano, passando per Cagliari, Bari, Lecce, Trento, Bologna. Quest’anno abbiamo raccontato che con buon margine di certezza il programma non ci sarà più per comune decisioni dei founder Augusto Coppola, Carlo Alberto Pratesi e Paolo Merialdo (in foto). Ma resta una community forte. E un gruppo di startup tra le migliori dell’ecosistema romano. Chissà come andrà a finire.
Il fondo regionale (e 23 milioni di investimenti)
C’è stata una leva importante anche da parte della Regione per il venture capital della Regione. Filas, finanziaria regionale laziale, che aveva in dotazione 23 milioni di euro per coinvestimenti in startup. Il fondo si è chiuso il 30 maggio di quest’anno e probabilmente ne verrà lanciato un altro con i nuovi fondi europei. L’Aifi registra nel biennio 2013-2015 31 operazioni di venture capital per 15 milioni messi a disposizione delle startup regiornali. Si spera che il nuovo fondo dia ulteriore spinta agli investimenti, perché la regione Lazio al momento è la quarta in Italia.
La calamita del talento: Pi-Campus
Roma. Quartiere Eur. Tra le collinette incastrate tra il Lago dell’Eur e il Palalottomatica si arrampicano dozzine di villette di uno, due piani. Una di queste è la prima sede inaugurata nel 2013 di Pi-Campus. Dentro è silenzio, verde e persone che lavorano alla propria scrivania che sembrano amalgamate tra loro e nell’ambiente intorno in una chimica perfetta. Pi-Campus sul suo sito si definisce solo per via negativa. «Non siamo un coworking, non siamo un acceleratore». Ma è un po’ tutto questo. E soprattutto: un fondo di investimento seed nato dal successo internazionale di Translated di Marco Trombetti. L’intelligenza artificiale sviluppata per il suo software di traduzioni ha fatto scalare il business dalla fine degli anni Novanta a oggi. 5 milioni di quel successo nel 2013 sono diventati benzina per 19 startup che oggi hanno una valutazione complessiva di circa 160 milioni di euro. Circa 7 milioni il valore medio di ognuna. E di quei 5 milioni ne sono stati investiti ad oggi 1,7. Pi-Campus è upiccolo miracolo. Che fa leva sulla bravura dei suoi founder, ovvio, ma soprattutto sul talento. Perché, è convinto Trobetti, i talenti attraggono talenti. Da ovunque.
I quattro che fecero Venere.com (e 200 milioni) prima delle startup
Quattro studenti a Roma. Anno 1994. Tre frequentavano Fisica. Il quarto studiava Economia. Allora, Internet era una cosa per pochissimi. E i quattro amici, in università, potevano utilizzare un computer, accedere al Web e scoprirne le potenzialità prima di molti altri. Decisero di fare un’impresa insieme individuando nella rete un’enorme possibilità per fare business. I loro nomi: Matteo Fago, Marco Bellacci, Renata Sarno e Gianandrea Strekelj. Fondarono Venere.com. L’obiettivo iniziale era vendere all’estero qualcosa che avevamo in Italia: l’ampia offerta di hotel. L’azienda cresce. Tanto. A ritmi di una startup, prima ancora che di startup si sapesse il significato. Nel 2000nella compagine societaria entrò il fondo Kiwi due di Elserino Piol, il padre del venture capital italiano che in quegli anni investì tre miliardi in Yoox di Federico Marchetti. Il passo successivo, nel settembre 2008, è stato ancora più radicale: Expedia, il colosso americano del turismo on line, acquista il 100% delle azioni di Venere.com e ne diviene l’unico proprietario per 200 milioni di euro. Una storia esemplare di startup, prima che tutta la storia raccontata qui avesse inizio.
Scaleup di successo: Translated e Octo Telematics
Non l’unica a Roma. Con Venere.com ci sono i casi di Translated di Marco Trobetti. E Octo Telematics. Fondata nel 2002 da Fabio Sbianchi è stata ribattezzata la «scatola nera» per automobili e moto. Un apparecchio grande come un pacchetto di sigarette che ha permesso alle compagnie di monitorare i sinistri degli assicurati. Che vuol dire sostanziosi risparmi ai gruppi assicurativi. Oggi con questa tecnologia, di cui detiene il brevetto e con il 45% del mercato mondiale, Octo ha 3 milioni e mezzo di clienti in svariati paesi del mondo: dalla Cina fino al Regno Unito e poi in India, Brasile ma soprattutto negli Stati Uniti dove la tecnologia italiana è stata adottata da 7 compagnie Usa. Storie di primato assoluto in Italia, nate prima, o al di fuori, dell’ecosistema. Degli acceleratori. Degli stakeholder. Perché c’è l’ecosistema, sì, ma ci sono anche le persone. Il genio dei singoli. E Roma non ne è mai stata sprovvista.
Arcangelo Rociola
@arcamasilum