Tra il 2013 e il 2015 la Regione ha attratto 36 milioni, il 20% del venture capital italiano. Solo la Lombardia ha fatto meglio. Cultura digitale, radici antiche e attenzione del settore pubblico sono i punti di forza. Oltre al mare
E poi scopri che dietro la Lombardia c’è la Sardegna. La classifica è quella degli investimenti in capitale di rischio a favore delle startup innovative. Secondo l’Aifi (l’Associazione italiana del venture capital, private equity e private debt), tra il 2013 e il 2015, sono stati investiti 185 milioni di euro. 48 sono finiti in Lombardia. E non è una sorpresa. Alle sue spalle c’è la Sardegna, con 36 milioni. Un euro su cinque da venture capital è finito sull’isola. Che fa meglio di Emilia Romagna (25 milioni), Lazio (15) e Campania (12).
Da VOL e Tiscali ai voucher pubblici
Delle 362 operazioni di early stage, la regione ne conta 35. Ancora una volta una cifra da podio, al terzo posto dopo Lombardia (che domina con 103) e Campania (con 36). Numeri che valgono parecchio, in un panorama nel quale il 70% degli investimenti da venture capital si concentra al centro-nord. Numeri che raccontano una linea verde, che però non arriva dal nulla.
In Sardegna sono nati Video Online e Tiscali. “Se il primo è stata la scintilla, il secondo è stato il motore di crescita di un distretto digitale che funziona abbastanza bene e ha ampi margini di miglioramento”, afferma Mario Mariani, managing partner di The Net Value, incubatore con sede a Cagliari. Dalla Sardegna sono passati o partiti, tra gli altri, MoneyFarm, DoveConviene, Sounday, Applix, Paperlit, MarinaNow, Sardex, MutuiOnline. Nel capoluogo, aggiunge Mariani, “c’è una buona università e un sistema pubblico molto sensibile alle aziende innovative”. Perché il talento conta, ma la mano pubblica si vede.
C’è un ente, Sardegna Ricerche, dedicato “alla ricerca e allo sviluppo tecnologico”. È un’agenzie regionale dal 2007, ma ha una storia molto più lunga: è attivo dal 1989. Oggi assegna dei voucher alle startup innovative, con un contributo massimo di 100 mila euro, da utilizzare per coprire fino al 70% dei costi di avviamento. Con due vantaggi, nota Mariani: “È più facile ottenere questo contributo che convincere un angel investor. E inoltre la startup non si diluisce”.
Il nuovo Fondo regionale di venture capital
Dall’aprile 2016 è attivo un Fondo regionale di venture capital. Dotazione di 10 milioni e operazioni singole tra i 150 mila euro e il milione. Con l’intenzione di lasciare il controllo nelle mani dei fondatori: l’investimento non può superare il 49% del capitale.
Lo schema stimola la collaborazione tra pubblico e privato, attraverso la simmetria dell’investimento e l’asimmetria del rischio. La Regione non interviene mai da sola: mette a disposizione al massimo il 50% dell’investimento proposto dal privato. Se la exit genera una perdita, viene comunque garantito all’investitore il 25% del capitale investito. Se il disinvestimento fosse inferiore a questa soglia, la Regione non incassa nulla: va tutto a beneficio del privato. Le condizioni restano favorevoli anche nel caso in cui la exit si rivelasse positiva. Dopo la spartizione del capitale in base alle percentuali possedute, il 56,25% dell’utile restante andrà al privato e il 43,75% alla Regione. E nel caso in cui l’exit superi di 5 volte l’investimento, al privato andrà l’80% dell’importo eccedente questo limite.
Il mare dalla parte del digitale
In fondo, però, come spesso accade, anche il territorio indica la strada. Così come le ricchezze del sottosuolo fecero crescere l’attività mineraria, così l’essere isola porta al digitale. “Dato che c’è il mare di mezzo, sicuramente è meglio fare aziende dove vendi servizi digitali piuttosto che produzioni manifatturiere”, sottolinea Mario Mariani.
Il contro esiste: “È la lontananza dai centri del business”, spiega il padre di The Net Value. “Ma per un’azienda globale, anche Roma e Milano sono periferiche. Meno della Sardegna, ma pur sempre periferiche. Quindi non è un’eresia mettere su un’azienda digitale qui. O almeno alcuni pezzi di questa azienda.”. I pro, invece, sono “la cultura digitale diffusa e l’ambiente fertile. E magari in pausa pranzo, per sei mesi all’anno, in cinque minuti si raggiunge la spiaggia del Poetto per fare una nuotata. Anche questo conta”.
Paolo Fiore
@paolofiore