Tutto nasce dalla passione dell’inventore Satoshi Tajiri per gli insetti. Da lì il fenomeno multimiliardario che ha catturato il cuore dei millennial.
Videogame, film, cartoni, giochi di carte collezionabili e un’app, Pokémon Go, che fa proseliti in tutto il mondo (15 milioni di download, e una stima di 1,6 milioni di guadagni al giorno, secondo la società di ricerca Sensor Tower). Numeri insperati per Satoshi Tajiri, il papà dei Pokémon, quando allora trentenne nel 1996 termina la prima versione del gioco ideato per Game Boy. Sei anni di lavoro, il rischio della bancarotta e i timori della stessa Nintendo che non ci crede tanto. Ma la multinazionale fa male i calcoli: Pokémon diventa un fenomeno planetario, 277 milioni di giochi venduti e 20 anni di successi. E pensare che tutto è nato da un paio di insetti, quelli che Satoshi ama collezionare da bambino.
Quando lo chiamavano «Mister Insetto»
È all’infanzia di Satoshi che bisogna risalire per scoprire l’origine dei Pokémon, come racconta lui stesso al Time datata 1999: «Il posto in cui sono cresciuto era una zona rurale, Machida, a ovest di Tokyo. C’erano risaie, fiumi e foreste. La natura era ovunque. Mi divertivo a catturare e collezionare insetti. Mi affascinavano. Ogni volta che ne trovavo uno nuovo, mi mettevo subito alla ricerca di un altro. Era un mondo misterioso per me». Nella stessa intervista spiega poi come rapidamente le cose sono cambiate, l’urbanizzazione, lo sviluppo, il cemento strappano via quel mondo naturale che, tuttavia, resta vivo nella sua mente. Da piccolo lo chiamano Dr Bug (da “bug” “insetto), avrebbe voluto fare l’entomologo, ma i genitori, un venditore di auto Nissan e una casalinga, non assecondano la sua passione e lo mandano a studiare in una scuola della capitale. Non è un buon studente e finisce a stento gli studi.
Poi arrivano gli Arcade Game e gli cambiano la vita
Invece di studiare spende i suoi pomeriggi a giocare a Space Invaders che nel 1978 viene lanciato sul mercato e ci si può cimentare solo nelle sale giochi: «I miei genitori temevano che sarei diventato un criminale» racconta. I videogame diventano la sua nuova ragione di vita. Impara da autodidatta. A 16 anni vince un contest con Sega che premia giovani con idee innovative nel gaming. Tuttavia, suo padre vuole per lui un futuro stabile e lo spinge a fare domanda alla Tokyo Electric Power Company (la più grande compagnia elettrica del Giappone). Dopo qualche giorno di tentativo, declina l’offerta.
Game Freak, il fanzine che scrive a mano
Nel 1981 crea Game Freak, una rivista amatoriale che copre tutta la scena del gaming giapponese, la scrive a mano, in un primo momento, con l’aiuto di Ken Sugimori, designer che lo aiuterà poi nella realizzazione dei disegni dei Pokémon. La rivista recensisce i titoli più fortunati e racconta trucchi su come vincere in giochi come Donkey Kong. Il numero di maggiore successo vende quasi 10mila copie (per realizzarle usa questa volta una fotocopiatrice): «A 18 anni avevo già un business che funzionava. E alcuni collaboratori. Più mi informavo sui videogiochi che venivano prodotti, più cresceva la mia frustrazione. Nessuno dei giochi di cui scrivevo mi convinceva. Allora ho deciso di farli da solo» spiega Satoshi che trasforma il magazine in una società di sviluppo di game (nel 1989) e inizia una collaborazione con Nintendo, riprendendo un vecchio titolo fatto da ragazzo, Quinty e un nuovo concept come Mendel Place.
6 anni per il primo Pokémon
Al primo pitch di presentazione di Pokémon a Nintendo, pare che non a tutti i manager fossero chiari i motivi per cui il progetto avrebbe avuto successo. Il primo a crederci è Shigeru Miyamoto, il papà di Mario Bros che aiuta Satoshi e il team nello sviluppo del gioco, diventando il mentor del progetto. Ci vogliono sei anni per dare vita alla prima versione di Pokémon Red and Green. È un periodo complesso, la startup rischia la bancarotta, e mancano i soldi per pagare i dipendenti, cinque collaboratori abbandonano la nave in balia delle onde e Satoshi è costretto a tornare a vivere con i suoi. Un po’ di sollievo arriva da un investimento di Creatures Inc, una casa di sviluppo software che fa un affarone (oggi detiene 1/3 delle azioni di The Pokemon Company, la joint venture che ha i diritti di Pokémon franchise).
Quando viene lanciato il gioco il Game Boy è considerato ormai fuori moda. Né la stampa, né la tv si interessano alla console. Nuovi giochi con grafiche migliori sono disponibili sui CD Rom e si usano sul pc di casa: «Quando ho terminato Pokémon pensavo che Nintendo l’avrebbe rifiutato. Mi sentivo come un giocatore di baseball che corre verso la seconda base pur sapendo che è destinato a uscire fuori dal campo. Ma per qualche ragione, mi sono salvato» racconta al Time. Le cose vanno decisamente meglio di quanto tutti si aspettano. Rispetto alla stampa, gli adolescenti giapponesi non hanno ancora mandato in pensione il Game Boy. Le altre console sono ancora troppo costose. Scatta il passaparola grazie anche a una trovata di Satoshi che mette un po’ di pepe nella storia: ufficialmente sono 150 i Pokémon che il protagonista, Rosso, e l’antagonista, Blu, devono sfidarsi a catturare. Ma Satoshi ne inserisce uno in più, Mew che è possibile ottenere solo interagendo con altri giocatori, sfruttando il cavo game link che permette di trasferire dati tra due console. Iniziano a circolare voci su un mostro segreto che solo alcuni giocatori possono ottenere. Tradotto: più mistero e soprattutto più vendite.
Via alla Pokemon mania
Pokemon Versione Rossa e Versione Blu è solo il primo dei trenta titoli che seguiranno (più di 277 milioni di giochi venduti). Intanto, diventano un successo planetario e vengono “cucinati” in tutte le salse. La serie televisiva anime, coprodotta da Nintendo e Game Freak, viene trasmessa nel 1997 e distribuita in circa 74 Paesi. Nella versione originale il protagonista è Satoshi, il nome dell’inventore, mentre il rivale, Shigeru è un omaggio al papà di Mario Bros. Dopo il cartone è la volta delle carte da gioco stampate in 10 lingue (21,5 miliardi di carte vendute). E poi ancora 17 film per revenue di 57,65 miliardi di dollari nel 2015 secondo Economist. Per gestire i diritti di questo impero nasce Pokémon Company, la joint venture che detiene il copyright dei videogame (di cui fanno parte Nintendo, Game Freak e Creatures, tutti proprietari con lo stesso numero di azioni, ndr).
Dal fenomeno al digitale: la PokemonEconomy
Cosa succede quando un fenomeno di costume incontra il digitale? È un po’ questa la domanda che John Hanke di Niantic, startup specializzata in gaming e realtà aumentata, si è chiesto quando ha iniziato a lavorare per portare i Pokémon nel mondo del mobile. Pokémon go, il gioco che sta spopolando in questi giorni, è la dimostrazione più viva del risultati che l’interazione tra un prodotto “tradizionale” amato dai consumatori e l’ingresso prepotente del mondo digitale possono causare. Se ci sono voluti 20 anni per far diventare Pokémon un fenomeno conosciuto in tutto il mondo, sono bastate due settimane per:
– Catturare 15 milioni di utenti
– Portare a stime di guadagno di 1,6 milioni di dollari al giorno
– Far crescere le azioni di Nintendo del 63,7%, fino a 28 miliardi
– Superare Twitter e Tinder nel tempo speso al giorno (oggi 43 minuti)
E soprattutto, creare un indotto economico potenzialmente infinito. Una vera e propria PokemonEconomia che può avere risvolti inattesi. Gli utenti comprano oggetti tramite l’app, entrano nei negozi per catturare i Pokémon, le attività commerciali (e non solo anche musei, teatri) beneficiano dell’ingresso dei nuovi consumatori e, sfruttando le nuove tecnologie, geolocalizzazione, eBeacon, realtà aumentata, possono fare offerte ad hoc, promozioni.
D’altronde è quello che già sta accadendo in US dove diversi negozi, pagando poco meno di 10 dollari per il Lure Modules, ossia un sistema per attrarre più Pokémon in prossimità della zona in cui si è localizzati, hanno aumentato le vendite dei drink del 30%. È quello che è successo a Pizza Bar nel Queens, una delle prime attività a servirsi dell’applicazione, come spiega Bloomberg. Mentre altre attività hanno già fatto partire promozioni via social verso i team (stanno nascendo gruppi che si mettono insieme per catturare Pokémon) e quindi portare così più persone nel proprio locale.
Se Niantic riuscirà a far crescere gli utenti si apriranno possibilità infinita: dai pochi dollari spesi per i Lure Modules, si potrebbe arrivare a pensare a sottoscrizioni mensili oppure prendere delle fee sulle vendite. Insomma, siamo solo agli inizi e intravediamo la punta di un iceberg e Niantic, attraverso la connessione tra app, geolocalizzazione, e-commerce, realtà aumentata, potrebbe fare da scuola a tante altri progetti capaci di coniugare nostalgia e modernità.