Nel 1838 l’università vendette 272 schiavi. Oggi i discendenti avranno diritto ad uno status privilegiato per accedere alla facoltà
Gli Stati Uniti devono fare i conti quotidianamente con il proprio passato. Prima la schiavitù, poi la segregazione razziale, hanno lasciato delle ferite nella società che i recenti avvenimenti, con l’uccisione di alcune persone di colore da parte della polizia, hanno riportato dolorosamente a sanguinare. Un passato che alcune istituzioni, pubbliche e private, stanno cercando di “riparare”: è il caso della Georgetown University, college fondato dai gesuiti nel 1789, che nel 1838 ampliò il proprio patrimonio attraverso la vendita di 272 schiavi.
Il rettore dell’università, John J. DeGioia, ha annunciato misure riparative di quel gesto, come corsie di accesso preferenziali per i discendenti di quegli schiavi. Oltre alle scuse formali, verrà creato un istituto per lo studio della schiavitù in America e verrà eretto un memoriale a ricordo dell’accaduto. Inoltre due edifici nel campus saranno intitolati rispettivamente a Isaac Hawkins, uno degli uomini spediti in Lousiana nel 1838, e ad Anne Marie Becraft, educatrice del XIX secolo che fondò una scuola per ragazze di colore a Washington. La decisione di DeGioia è senza precedenti nella storia delle università americane, e riguarderà non soltato i discendenti dei 272 che furono venduti, ma anche di chi lavorò e contribuì a far crescere il college in quegli anni. Anche Brown, Harvard, University of Virgina e alcune altre hanno riconosciuto le proprie radici schiaviste, ma mai prima d’ora era stato concesso uno status particolare alle nuove generazioni. «E’ un gesto senza precedenti – spiega lo storico del Mit Craig Steven Wilder – va dato credito a Georgetown per aver fatto un passo che altre università si sono rifiutate di fare. Ma quali effetti avrà resta tutto da vedere».
Dalla vendita di quasi due secoli fa il college incassò qualcosa come 3,3 milioni di dollari attuali, di cui 500mila andarano a ripianare i debiti di un’istituzione che in quel momento era in grosse difficoltà economiche. «Il peccato originale che ha riguardato il primo periodo della nostra nazione era ben presente qui. Fino ad oggi abbiamo nascosto la verità, l’abbiamo seppelita, ignorata e infine negata» ha detto DeGioia davanti a centinaia di studenti, membri della facoltà e discendenti. Peccato originale studiato da un gruppo apposito creato all’interno dell’università lo scorso settembre, ma anche dal New York Times, che ad aprile ha pubblicato la storia della vita di Cornelius Hawkins, nipote di quell’Isaac Hakins a cui il rettore ha voluto dedicare uno degli edifici del campus. Dal lavoro della commissione dell’università è emerso che il lavoro e la tratta degli schiavi facevano parte del modello finanziario pensato per il college già prima di aprire i battenti nel 1789. Tutti gli edifici nel campus costruiti prima del 1838 furono probabilmente opera di schiavi. Tutto è bene quel che finisce bene, dunque? Non proprio, perché alcuni discendenti hanno fatto sentire la propria voce giudicando inadeguate le misure adottate rispetto alle sofferenze patite dai propri avi. Tra le varie lamentele, anche quella di non aver offerto borse di studio, nonostante un patrimonio stimato di quasi un milardo e mezzo di dollari.