Per il nostro Paese ci sono dati preoccupanti su più fronti: la scarsa natalità e l’emigrazione all’estero dei ragazzi che hanno da poco conseguito la laurea
La fuga dei laureati non è certo più una notizia. Mentre la popolazione mondiale continua a crescere, l’Europa – e in particolare l’Italia – restano alle prese con un costante calo demografico. Le stime vedono un aumento di 2 miliardi di persone nel mondo nei prossimi 30 anni, dai 7,7 miliardi attuali ai previsti 9,7 per il 2050. Entro il 2027, riporta il Sole 24 Ore, l’India dovrebbe superare la Cina come Paese più popoloso al mondo, mentre l’Africa, che oggi conta il 15% della popolazione mondiale, costituirà il 49% dell’incremento demografico dei prossimi quarant’anni.
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Europa in controtendenza
Il Vecchio Continente continua invece a invecchiare. Nel giro di 50 anni, oltre il 30% della popolazione europea sarà composta da over 65, il 10% in più rispetto al 2019. In crescita anche la popolazione di chi ha almeno 80 anni: nel 2070 saranno più del 13%, contro il 5,8% registrato lo scorso anno. Una tendenza che, soprattutto nei Paesi fortemente indebitati come l’Italia, si tradurrà in un impatto sempre maggiore sulla spesa pensionistica e quindi sulla spesa pubblica.
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La popolazione italiana continua a diminuire
A oggi l’Italia conta 60,3 milioni di abitanti. Le stime citate dal Sole indicano un calo di un milione di persone entro il 2040, per giungere a un totale di 53,8 milioni entro il 2065. Si tratta, in termini percentuali, di un calo dell’11% sul totale della popolazione in 45 anni. A peggiorare la situazione potrebbero essere la pandemia e le gravi conseguenze economiche da essa portate. Difatti, nel periodo post-Covid, la caduta della natalità potrebbe accelerare ulteriormente, con una diminuzione stimata intorno ai 10 mila nati. Un terzo dei quali nel 2020 e i restanti due terzi nel 2021. Se si scendesse, come probabile, sotto la soglia dei 400 mila nati all’anno già nel 2021, si anticiperebbe di 12 anni un traguardo negativo che l’Istat aveva previsto di raggiungere nel 2032.
La fuga dei laureati italiani
Secondo una ricerca elaborata dal centro studi della Rome Business School su dati Istat, sono nel 2018 sono partite dall’Italia 117mila persone, di cui circa 30mila laureati. Un dato, quest’ultimo, che, tocca quota 182mila se si considerano i laureati che hanno lasciato il nostro Paese negli ultimi dieci anni. I giovani abbandonano l’Italia in cerca di una migliore valorizzazione delle proprie competenze e di un migliore futuro lavorativo. Il 72% degli italiani che espatria ha infatti dai 25 anni in su: sono stati oltre 84 mila nel 2018. Di questi, circa il 32% ha una laurea. Comparando il dato con quello registrato nel 2009, si tratta di un aumento che ha coinvolto più le laureate (+10 punti percentuali) rispetto ai laureati (+ 7 punti percentuali).
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Dove vanno i nostri concittadini?
Insomma la fuga dei laureati è una vera e propria emorraggia. Come sottolineato da Business Insider, sono cinque le mete più battute dagli italiani che espatriano. In primis il Regno Unito, che nel 2019 ha accolto 21mila persone, nonostante Brexit. Segue la Germania, a quota 18mila, la Francia con 14mila, la Svizzera con 10mila. Chiude la Spagna, che ha ricevuto 7mila ingressi di italiani emigrati. In cinque stati si concentra dunque il 60% del totale degli emigrati del nostro Paese. In 18 mila sono poi finiti fra Brasile, Stati Uniti, Canada e Australia.
Chi sono gli italiani che emigrano?
L’indagine sulla fuga dei laureati condotta dalla Rome Business School ha mostrato una forte presenza, fra gli emigrati italiani, di figure altamente specializzate in diversi settori. Dal digital marketing e dai data scientist, agli energy manager, fino alle figure legate al legal tech.
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Nel 2019, gli italiani iscritti all’AIRE (Anagrafe degli Italiani residenti all’estero) erano 5,28 milioni di persone. Circa la metà di loro (il 48,9%) proveniva dal Meridione, il 35,5% dal Nord e solo il 15,6% dal Centro Italia. Le province che hanno visto più partenze lo scorso anno sono state Roma, Milano, Napoli, Treviso, Brescia e Palermo. Un quadro eterogeneo e in costante aumento. La crescita degli espatri prosegue infatti ininterrotta: dal 2006 al 2019 è stimata intorno a un +70% – dai 3,1 milioni del 2006 ai 5,28 del 2019. Se si passa a considerare le partenze a livello regionale, le più colpite sono la Basilicata, il Molise, la Calabria e la Liguria. Regioni, specialmente quelle al Sud, già pesantemente colpite da un forte invecchiamento e da un mancato ricambio di popolazione.
Quanto costa la fuga dei laureati
Ogni giovane che, laurea in mano, parte e lascia l’Italia, segna un pesante meno nel bilancio del nostro Paese. Confindustria ha infatti stimato che una famiglia spende in media 165mila euro per crescere e istruire un figlio fino ai 25 anni, mentre lo Stato copre una spesa media di 100mila euro, fra scuola e università. Una perdita totale annua che si aggira sui 25/30 miliardi di euro. A questa perdita se ne aggiunge un’altra molto pesante, relativa alle tasse. L’Italia perde infatti 49 miliardi di euro l’anno di gettito fiscale, 25 dei quali provenienti dai laureati trasferiti all’estero.
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Dati che mostrano in maniera lampante come i programmi di defiscalizzazione attuati dai governi per favorire il rientro in patria dei giovani laureati specializzati non funzionano. L’ultimo di provvedimenti simili è contenuto nel Decreto “Rilancio”. L’abbattimento dell’imponibile per i lavoratori rimpatriati passa dal 50 al 70%, fino ad arrivare al 90% se si trasferisce la residenza in una regione del Sud. Il governo ha poi previsto di stanziare 1 miliardo e 400 mila euro per l’assunzione di 4.940 ricercatori, a partire dal 2021 e da completare entro due anni. Sarà quindi il tempo a dirci l’efficacia delle nuove misure messe in campo per riportare in Italia le giovani menti fuggite all’estero.