Internet come lo conosciamo non sarebbe lo stesso senza Paolo Ainio: da Virgilio all’exit di Banzai Media, ecco il passato di un uomo che vive nel futuro
«Io, ora, sono un signore che fa eCommerce». Parlare di Paolo Ainio nel presente è sempre riduttivo. Il fondatore di Banzai, società con due anime (eCommerce e media, quest’ultima parte ceduta a Mondadori per 45 milioni di euro), non è un uomo che vive solo nel qui e ora. Infatti sin delle sue prime esperienze lavorative, si ha l’impressione che Ainio viva facendo un salto nel passato e due nel futuro. Il risultato, tra rivoluzioni e fallimenti, è la creazione di un presente innovativo. Per dire: senza di lui non avremmo avuto nemmeno la 64K.
A cercarlo su Google Paolo Ainio sforna 10.600 risultati di ricerca. Molti meno di Jeff Bezos, creatore di Amazon, che supera i cinque milioni. Eppure Ainio è colui che ha dato vita a Virgilio.it, quello che nel 1996 era il primo portale e motore di ricerca italiano, prima che Altavista, Yahoo e naturalmente Google cambiassero le carte in tavola. Forse perché i veri innovatori non ricevono benefici dallo stare sotto le luci della ribalta. Perché – come la fibra ottica o i primi cavi telefonici – c’è bisogno di muoversi al di sotto di tutto il resto per funzionare bene.
Anni ’80: La tv (e il ritorno al futuro)
Iniziamo col dire che Paolo Ainio è figlio di un innovatore. Nel 1983 inizia a lavorare per Centro Media, prima agenzia pubblicitaria italiana fondata da suo padre. È il tempo della gavetta: «Attaccavo le etichette sulle videocassette delle serie tv comprate all’estero e doppiate da noi», racconta Ainio. Si occupa anche delle nascenti televisioni private e della pianificazione delle loro attività: qui crea anche un sistema informativo, un database ante litteram, per mettere ordine tra i contenuti. Ripensando a quel piccolo mondo antico, non si può fare a meno di chiedere una previsione sulla tv del futuro, che secondo Ainio esisterà ancora: «Cambierà la forma di distribuzione, che si staccherà sempre di più dall’apparecchio. Basta pensare a Netflix. La tv si scioglierà in Internet», prevede Ainio. Alla morte del padre, prende le redini di Centro Media, cercando di dare continuità al passato. Dopo la vendita della società è rimasto in Media e Communication Services per due anni prima di fare un salto nel futuro, visitando l’America in cui stava germogliando Internet.
Anni ’90: Gli italiani arrivano davvero online
Austin, 1993: il centro dell’innovazione mondiale degli Anni Novanta. «C’era l’HP, Motorola. Era tutto in evoluzione. Internet all’epoca era solo forum e testo. Erano anche gli anni della sperimentazione interattiva della tv», ricorda Ainio. Nel 1994 Internet esplode anche in Italia. Il 1995 è l’anno in cui Ainio con Carlo Gualandri e Marco Benatti fondano Matrix. «Gualandri e io dialogavamo via Internet. Guardavamo ciò che stava succedendo nel mondo e ipotizzammo di portare anche in Italia alcuni esperimenti di tv interattiva. Costruimmo una specie di Internet che avremmo messo nelle case delle famiglie per misurare il rapporto tra azienda e consumatore attraverso questo nuovo media. Dopo un anno di progetti, con Marco Benatti facemmo il giro dei tavoli di Confindustria: presentavamo la possibilità di testare il futuro. Tutti ci dissero “Vi richiameremo”. Non ci si filò nessuno, ovviamente».
La visione futuristica di Ainio, Benatti e Gualandri viene mostrata anche ai dirigenti Telecom, complice la benevolenza di Ernesto Pascale: «Radunò tutti gli alti ranghi dell’azienda. Feci l’errore di spegnere la luce per far vedere meglio la presentazione che avevo preparato e alla spicciolata scapparono tutti. Ne rimase solo uno: il capo della rete fisica di Milano. Stava costruendo l’infrastruttura Internet per Telecom e chiese il nostro aiuto. Avevamo una sorta di competenza esoterica su qualcosa che non conosceva nessuno e questo ci fruttò una commessa da un miliardo di lire. Investimmo tutto in Virgilio».
Era il 1996: nacque così il primo motore di ricerca italiano, che aveva bisogno di molti soldi per funzionare, veniva snobbato dai grandi fondi di investimento eppure piaceva e continuava a crescere. Basti pensare che Google è sbarcato in Italia proprio attraverso questo portale.
2000: quando le parole startup ed exit non esistevano (ma si facevano)
Nel 1999 Seat acquisisce la maggioranza di Matrix. Oggi la definiremmo un’exit. «Non ho mai avuto emozione per il denaro», ricorda Ainio, anche perché ciò che serviva a Virgilio era un aiuto per parare le perdite. “In realtà l’emozione prevalente era quella di avere il futuro in mano sfruttando l’abbrivio delle cose vecchie, facendo succedere cose incredibili in aziende dove non succedeva niente. Tra il 1999 e il 2000 facemmo partire 40 aziende. Ma quello che a prima vista oggi può sembrare un grande spreco di soldi, è ciò che ci ha permesso di fare tante esperienze. Metà di ciò che oggi è l’Internet italiano è uscito da quel team». Oggi in Italia le parole “startup” ed “exit” suscitano emozione. Leggendo una storia come quella di PizzaBo o Solair, non si può fare a meno di dire “Loro ce l’hanno fatta”.
«Il fenomeno startup in Italia è buono, ma manca il dopo»
«Il fenomeno delle startup in Italia è positivo. Il governo ha creato grande rumore attorno al concetto di startup in termini di innovazione, occupazione e futuro del Paese, anche con una funzione di supplenza della scuola, che non funziona. Quello che manca è il dopo-startup», riflette Ainio. «Uno può anche trovare i soldi, ma per crescere si ha bisogno di finanziamenti diversi e quelli da 10 o 20 milioni non ci sono in Italia. Ci sono i piccoli e i private equity: in mezzo, il nulla. Quel buco vanifica molta dell’energia costruita nelle startup. Un po’ quello che è successo a Banzai: o arrivava qualcuno a metterci un po’ di soldi o ci dovevamo fermare lì e crescere diversamente. L’altra dinamica che manca è la filosofia corporate: forse per colpa dei venture capitalist si crea una sopravvalutazione di queste piccole società e, quando si arriva a doverle vendere, costano troppo. Poi, una volta acquisite da un’azienda, le startup vengono sostanzialmente uccise, senza far crescere i ragazzi in una cultura aziendale».
2006-2007: Galassia Banzai, da Studenti.it all’eCommerce
«Nel 2006 guardandomi intorno mi sono un po’ reso conto che gli operatori sul mercato erano rimasti gli stessi. Lo sboom post-2001 in Italia si faceva ancora sentire». Vi ricordate la bolla della New Economy e la sua esplosione? In un paese come l’Italia, dove Internet è stato guardato con scetticismo per molto tempo, il 2006 appare come un anno vuoto di iniziative finanziare e imprenditoriali sul web. «C’erano imprese ancora vive, con un buon modello di business, ma soffrivano di solitudine, non se ne parlava più. E poi mancavano i mezzi finanziari», ricorda Ainio che nel 2007 inizia a gettare le basi di Banzai, una piattaforma online basato su due pilastri: media ed e-commerce. «Iniziammo ad aggregare realtà esistenti, a dargli un po’ di finanza e confronto culturale. Non c’era una direzione precisa. Captammo Studenti.it, molto ben gestito, con una concessionaria pubblicitaria, reparto tecnico e un buon conto economico, gestito da Luca Lani e Fernando Diana, che sono poi usciti per fondare City News».
Poi fu il momento dell’eCommerce: la rete iniziò a definirsi grazie all’acquisto di ePRICE e allo startup di SaldiPrivati. «Bruno Becker venne da me e mi illustrò l’idea di creare un clone del portale francese Vente Privée. Partimmo. Facemmo molte acquisizioni e anche molti errori». Ma dallo stesso crogiolo nacquero anche casi di successo come Giallo Zafferano. Alla base di un normalissimo sito di ricette, un segreto semplice: semplificare. «Trovammo Giallo Zafferano e CookAround, che aveva un appeal più social. Erano due portali con numeri non proprio esaltanti e personalmente avrei scommesso di più su Cook Around.
Ma la ricetta segreta di Giallo Zafferano ha convinto gli utenti: non si tratta solo di fare una ricetta e fotografarla, la si deve semplificare fino a che non si è sicuri che funzioni». La ricetta di Giallo Zafferano funziona talmente bene che attorno al portale, oltre a milioni di visitatori, in occasione di un pranzo per i blogger si presentarono 500 persone e furono aperte e bevute 1000 bottiglie di vino. Quella di Banzai – media ed e-commerce – funziona ancora meglio: nel 2015 il target price degli analisti finanziari ha valutato complessivamente la società tra i 220 e i 270 milioni di euro. Jefferies, 315 milioni di euro.
C’era una volta il futuro: guardare oltre il presente
Ceduta la parte media a Mondadori per 45 milioni di euro, secondo Ainio ci sono due sfide da raccogliere per questa divisione. «Per poter reggere il confronto con Google e Facebook, dominanti nei servizi pubblicitari, bisogna fare due cose: essere verticali e specializzarsi in aree dove i brand possono inserire contenuti attinenti al pubblico raccolto, e investire in tecnologia per stare dietro alle performance da garantire agli investitori. Per questo bisogna fare economie di scala». Nel 2015 Banzai Media aveva portato a casa un fatturato da 25 milioni di euro, si poteva andare avanti a crescere bene, ma con una compressione della redditività: «L’aggregazione era all’orizzonte. Abbiamo visto che il mondo eCommerce era il 90% del fatturato con prospettive di crescita chiare e promettenti. Abbiamo dovuto scegliere. Banzai Media ha più senso in Mondadori, realtà che era più indietro sul digitale», riflette Ainio. «Comprando quella parte di Banzai, si sono portati a casa la possibilità di costruire il futuro dell’editoria digitale».
L’uomo che saltella tra futuro e passato però ora è un signore che fa e-commerce, abbiamo detto. In un comunicato stampa diramato dopo la formalizzazione della cessione della parte media a Mondadori, Banzai viene definita “la prima piattaforma nazionale di eCommerce” che ha messo in cassa più di 30 milioni di euro. «Il mondo dell’e-commerce rende più efficiente il processo commerciale facendo pagare meno al consumatore: in questo modo vengono liberate risorse economiche. Una famiglia che usa l’e-commerce in maniera intensiva, risparmia il 10% del proprio reddito all’anno e può reinvestirlo, creando ulteriore ricchezza. Per questo l’eCommerce è un fenomeno potente e non c’è niente che possa fermarlo», conclude Ainio.
Piccola guida per riconoscere il futuro
Essere capaci di predire il futuro e investire nel giusto settore non è solo un istinto scritto nel DNA. Ci spingiamo a chiedere a Paolo Ainio la sua ricetta e ne viene fuori che il segreto sta nella sana paranoia e nell’aggiornamento continuo. «Questo è un mondo in evoluzione continua, spesso finta. Per questo bisogna mantenere il radar acceso (che è un lavoro che impiega tempo). Il segreto del mondo del digitale si basa sul TCP/IP, che elimina gli ostacoli durante la navigazione». Un mondo più facile, con meno frizione, è un mondo più felice? Non è detto, ma di sicuro è un mondo più navigabile, comprensibile. «La rete continuerà ad essere il backbone del futuro, ma ci saranno grandi cambiamenti sia nelle app che nei devices. Sarà tutto molto più fluido e visual e l’industria continuerà a cambiare. Solo per fare un esempio le compagnie telefoniche non ci venderanno più un numero di telefono (che scomparirà), ma dati». Signori, piazzate la vostra scommessa sul futuro.
a cura di Niccolò Agrimi e Stefania Leo