Con oltre 18 anni di esperienza e una formazione in viaggio continuo tra Israele e gli Stati Uniti, Merav Rotem Naaman è una delle non moltissime figure femminili di spicco nel mondo tech
«La rivoluzione di Internet non ha precedenti, e non può tornare indietro. Molta gente oggi è spaventata, ma le nuove generazioni sono digitali, e non c’è leader che possa fermare un cambiamento così grande». Merav Rotem Naaman non vuole sentire parlare di fine della globalizzazione. Con oltre 18 anni di esperienza e una formazione in viaggio continuo tra Israele e gli Stati Uniti, oggi è una delle non moltissime figure femminili di spicco nel mondo tech. Lavora a Tel Aviv, dove guida Nautilus, la società d’investimenti del fondo vc Aol, ed è anche nei vertici di Verizon Ventures. Di passaggio a Milano, le abbiamo chiesto di spiegarci il suo lavoro, e se e come il vento protezionista degli ultimi tempi può influenzare il settore tecnologico.
Con quali criteri decidi di investire in una startup?
«Non penso che l’investimento sia davvero una scienza…specie nell’early stage è una sorta di arte. E non tutti ne sono padroni. È hard risk business. Mi focalizzo su team, mercato, prodotti. Il team è la chiave di tutto. Le startup più importanti hanno sempre avuto almeno un paio di svolte fondamentali, e devi avere un team abbastanza flessibile da sapere quando si deve cambiare. Le startup, crescendo, vanno incontro a momenti molto duri, e bisogna saperli affrontare tutti insieme. Bisogna essere molto creativi, resilienti, aggressivi talvolta.
Poi Il mercato. Il team può essere fantastico e il prodotto grande, ma se il mercato che stai puntando è troppo piccolo, non si tratta più un investimento da venture, ma da piccola impresa. Il prodotto può cambiare tante volte, non è importante lo stage in cui entro a investire, ma si deve guardare a mercati molto grandi. E il team se è molto forte capisce quali doti avere per affrontare l’impresa, capisce che tipo di compagnia si vuole essere, e sviluppa le giuste caratteristiche per essere capaci di sopravvivere. Perché è difficile essere imprenditori».
Cosa hai osservato, nel tuo passaggio in Italia?
«In Italia, l’economia è costruita da piccole e medie imprese. Quindi è costruita direttamente sugli imprenditori. Loro pensano locale, perché è sempre stato così. Ma non deve rimanere così. Potete usare il potere di Internet e della tecnologia digitale per diventare globali. È molto più facile di un tempo. Qui in Italia sicuramente gli imprenditori non mancano. E c’è il design, la cosa più importante oggi nel tech! Avete il talento, non vi resta che farlo fruttare.
Con il successo dei movimenti populisti e le recenti ondate migratorie, in politica si torna a parlare di muri e confini. Secondo alcuni, è l’inizio della fine della globalizzazione. Può davvero rallentare il flusso delle persone e delle idee? E si sentirà un’influenza anche nel mondo tech?
«Mi vengono un po’ di pensieri sparsi… Siamo nel bel mezzo di una delle più grandiose rivoluzioni di tutti i tempi. La velocità con cui sono cambiate le cose negli scorsi decenni probabilmente non ha precedenti nella storia. Forse neanche nella rivoluzione industriale. È una rivoluzione, non un’evoluzione. E le rivoluzioni di solito hanno un contraccolpo. La gente è spaventata dalle rivoluzioni, pensano sia la fine del mondo e che nessuno più avrà un lavoro…ma va bene così! Ora stiamo assistendo alla reazione alla rivoluzione. Ma non possiamo fermare il treno. Ha lasciato la stazione ormai! I nostri figli stanno crescendo in un mondo digitale, e non c’è nessun leader che possa fermare ciò. E alla fine la rivoluzione vincerà. Forse sono ottimista, ma la vedo così.
Ora molte persone dicono: ci avete lasciato indietro. Siete avanzati in un mondo di avanguardia tecnologica senza di noi. È un messaggio che dobbiamo ascoltare, per fare qualcosa al proposito. Non c’è avanzamento se lasci metà della popolazione indietro. E questa è una sveglia per tutti. Non è necessariamente una cattiva cosa, se sapremo come gestirla».