Uno studio di Susan Neuman, ricercatrice della New York University, ha messo a confronto i quartieri di alcune grandi città americane. In quelli più disagiati è praticamente impossibile procurarsi un libro
La lettura è un ottimo strumento per imparare cose nuove, per aprire la mente e, cosa non meno importante, per ampliare il lessico. Il bambino di una famiglia media americana viene a contatto con 45 milioni di parole, quello di una famiglia meno agiata con appena 13 milioni. La disparità potrebbe essere colmata con il lessico acquisito attraverso la lettura. Se però il bambino non ha la possibilità di accedere ai libri perché a casa non ci sono e nel quartiere scarseggiano le librerie, il suo apprendimento sarà molto più limitato, e quindi sarà svantaggiato sin dalla partenza rispetto ai suoi coetanei. A 4 anni il gap potrebbe già essere incolmabile.
Il problema è discusso da anni, in passato se ne è occupata anche la Fondazione Clinton con il programma “Too Small to Fail”, con l’obiettivo di diffondere nei genitori l’urgenza di far leggere i propri figli. Ma questa iniziativa, come tante altre, ha sempre sottovalutato un aspetto fondamentale: nei quartieri poveri è molto difficile, se non quasi impossibile, procurarsi un libro. «Sarebbe invece molto importante favorirne la diffusione – spiega Susan Neuman, ricercatrice sull’educazione infantile alla New York University – quando parliamo con i bambini lo facciamo usando un linguaggio elementare, non usiamo parole complesse. Ma qualunque libro, anche quello più semplice, utilizza dei vocaboli che non sentono dai genitori e che quindi non imparerebbero mai». Dopo aver pubblicato un interessante studio sull’argomento nel 2001, in cui metteva a confronto la disparità di accesso ai libri in un quartiere povero ed uno benestante di Philadelphia, Susan Neuman è tornata ad occuparsi di questi temi con un altro lavoro, pubblicato su “Urban Education”. L’autrice parla dei “deserti di libri” americani, rilevando una grave disparità in città come Detroit, Los Angeles e Washington DC.
Neuman e Naomi Moland, co-autrice e professoressa alla Columbia University’s Teachers College, hanno camminato attraverso le strade di due quartieri nelle città di cui si parlava, annotando meticolosamente il numero di librerie che vendevano anche libri per bambini. In totale ne hanno trovate 75, appena il 2% di tutti i negozi della zona. La possibilità che un bambino di un quartiere povero venga a contatto con un libro, conclude lo studio, «è molto bassa». Nel quartiere di Anacostia, a Washington DC, dove la popolazione è quasi esclusivamente nera e il 61% dei bambini vive in povertà, non c’era (nell’estate del 2014, quando è stato condotto lo studio) un singolo negozio che vendesse libri per ragazzi in età prescolare, e ce n’erano appena cinque per quelli fino a 12 anni. Facendo i conti, 830 bambini avrebbero dovuto condividere una manciata di libri. Appena due miglia più a nord, nel quartiere di Capitol Hill, erano più di 2mila le stampe a disposizione. In media una ogni due bambini.
Naturalmente non si può equiparare l’accesso ai libri con l’accesso ai negozi che vendono libri. Ma lo studio di Neuman e Moland ha dimostrato che nei quartieri poveri è più basso anche l’accesso a biblioteche pubbliche e all’acquisto online, su Amazon o altri canali di questo tipo, per mancanza di abitudine alla lettura. Un accesso “democratico” ai libri avrebbe un effetto immediato sul vocabolario dei bambini e quindi sulla loro capacità di apprendimento. Secondo alcuni studi, ragazzi che vengono da comunità disagiate registrano risultati più bassi del 60% sui test che misurano la loro familiarità con suoni, colori e numeri, rispetto ai loro coetanei più ricchi. Dare più libri a tutti potrebbe essere uno dei migliori investimenti di sempre per combattere la povertà. Una speranza c’è: nel quartiere di Anacostia, Neuman e il suo team hanno installato un macchinario per la distribuzione di libri gratuiti. In sei settimane ne erano stati presi 27mila.