La rivoluzione digitale ridisegna la geografia della manifattura italiana. Nascono i nuovi city makers e la manifattura comincia a rappresentare una parte significativa dell’attuale economia urbana. A disegnare il quadro è il rapporto della Fondazione Make in Italy, curato dal Censis
«Le nuove tecnologie spostano anche la geografia fisica della manifattura nell’Industria 4.0. Anche in Italia assistiamo a questo fenomeno straordinario che fa ritornare la manifattura, pur nelle condizioni totalmente mutate, alla nostra tradizione rinascimentale». Queste le parole con cui Carlo De Benedetti, Presidente Onorario della Fondazione Make in Italy, è entrato nel merito di “Dallo smontaggio delle città-fabbrica alla nuova manifattura urbana”, il rapporto realizzato dal Censis, voluto e promosso dalla Fondazione Make in Italy in collaborazione con Maker Faire Rome, e presentato al Tempio di Adriano (piazza di Pietra) a Roma.
Le città dei makers
Il ritorno alla manifattura e le città. O meglio, la cultura manifatturiera e un possibile terreno di applicazione su scala urbana. Il potenziale offerto dai processi di digitalizzazione alla produzione dei beni. La necessità di misurare la consistenza e le dimensioni della manifattura urbana (le attività produttive manifatturiere all’interno del perimetro delle città italiane). Questi i temi affrontati dallo studio, di cui hanno discusso Massimo Banzi (founder Arduino e curatore Maker Faire Rome), Carlo De Benedetti, Giuseppe De Rita (presidente Censis), Enrico Giovannini (professore di Statistica economica Università Tor Vergata), in un dibattito condotto da Riccardo Luna.
Alla vigilia della quarta edizione della Maker Faire Rome, la ricerca del Censis disegna un nuova mappa dell’attività manifatturiera italiana, offre una rappresentazione di questo fenomeno e del suo potenziale di crescita.
Dall’economia del quanto a quella del bene
«Il mondo – ha detto aprendo l’incontro Carlo De Benedetti – sta rapidamente cambiando rispetto a quello che ci eravamo prefissi 25 anni fa. Pensavamo che la globalizzazione avrebbe reso il mondo più felice e ricco. Oggi si constata che il modello dell’economia della crescita e del PIL è chiaramente in crisi con la messa in discussione delle elite politiche ed economiche che lo hanno condotto negli ultimi 25 anni». Per Carlo De Benedetti «ora passiamo da un’economia del quanto a un’economia del bene con nuovi modelli di pensare non più massivi ma individuali. Stiamo andando verso una fase difficile dell’economia non parlo solo dell’Italia ma del mondo. I dati cinesi sono enormi, spaventosi. Significa che noi compriamo di meno perché le nostre economie vanno male». Un modello produttivo che punta sempre di più sulla qualità anziché sulla quantità.
1. Le città della nuova manifattura
Secondo il rapporto del Censis, Milano è la città che occupa più addetti nelle aziende manifatturiere innovative, ma è Torino a dominare nel ranking dell’Industria 4.0. Milano è la prima città italiana per consistenza manifatturiera, con 208 mila addetti nel settore, ovvero il 21% di quelli presenti nei capoluoghi italiani. Al secondo posto Torino (11,2%), seguita da Roma (10,2%) e da Prato al quarto posto (2,9% degli addetti) grazie al settore tessile che consente al comune toscano di superare centri come Verona, Napoli, Firenze, Parma, Modena e Genova (dal 2% al 2,6% degli addetti). Per il rapporto del Censis Torino è al primo posto nella classifica per ranking manifatturiero, grandezza basata su tre differenti indicatori: la vocazione manifatturiera (la percentuale di addetti sul totale, il numero di imprese rispetto agli abitanti, il numero di imprese manifatturiere sul totale. La vitalità manifatturiera (le iscrizioni di imprese rispetto agli abitanti e al totale delle imprese attive) e la concentrazione manifatturiera (le quote percentuali di imprese e addetti nel comune capoluogo rispetto alla provincia).
2. PIL, Ricerca e sviluppo, export
Tra il 2009 e il 2016 la manifattura italiana ha perso 54.992 imprese (il 9.2% del totale). Negli anni più duri della crisi, tra il 2008 e il 2013, ha perso 30 miliardi di valore aggiunto. Nonostante questi dati, la manifattura continua a contribuire in modo determinante alla formazione del PIL (15,3% nel 2013) e l’Italia si conferma al secondo posto in Europa dopo la Germania per valore della produzione. Sul totale della spesa delle imprese italiane per ricerca e sviluppo, la sua incidenza è del 72,1%. La manifattura contribuisce in misura preponderante (397 miliardi di Euro) all’export nazionale. Il saldo commerciale del manifatturiero vale 93,6 miliardi di Euro nel 2015 (5,7 punti di PIL).
3. Meno imprese manifatturiere chiudono
Sempre meno imprese chiudono. Il numero delle cessazioni delle aziende manifatturiere «si è fortemente ridimensionato, scrive il Censis nel rapporto. Quello che si è ridotto è il saldo negativo. Nel rapporto si mette anche in evidenza come il numero medio di addetti nelle nuove imprese tende ad aumentare, passando dall’1,8 del 2013 al 3,1.
4. La nuova manifattura urbana
Un particolare tipo di manifattura urbana inizia a rappresentare una parte significativa dell’attuale economia urbana. E’ caratterizzata da una produzione sempre più personalizzata e con un basso impatto ambientale. Si alimenta e si integra con attività sperimentali sviluppate da università e centri di ricerca, beneficia della vicinanza a mercati particolari e della presenza di lavoratori qualificati, approfitta dei vuoti urbani, favorendone la riqualificazione. Parliamo di startup innovative, incubatori d’impresa, spin-off universitari e fablab: qui si muovono e agiscono i nuovi city makers.
5. 116 FabLab censiti in Italia, un fenomeno in crescita
I laboratori di fabbricazione digitale, riporta il rapporto del Censis, sono in crescita costante: secondo il censimento di Make in Italy di settembre 2016 se ne contano 116. La distribuzione appare ancora disomogenea: solo sei province hanno più di quattro strutture (Milano, Roma, Bologna, Napoli, Modena e Treviso), mentre altre 36 non ne contano nessuno. «D’altra parte, che i FabLab siano un fenomeno di carattere spontaneo lo si può vedere da diverse angolature – sottolinea il rapporto – la sede di cui dispongono è nei due terzi dei casi di proprietà privata, il soggetto fondatore nella maggior parte dei casi è una persona fisica e l’attività viene finanziata prevalentemente con risorse private». Secondo le rilevazioni di Make in Italy, i gestori guardano per i finanziamenti soprattutto alle istituzioni e alle imprese locali, con un terzo degli intervistati che auspica un coinvolgimento del governo.
6. Crescono gli investimenti delle imprese nel digitale
Nel suo rapporto, il Censis mette in evidenza anche come la fabbrica digitale (il futuro della produzione manifatturiera), anche come concetto, inizia ad affermarsi. Nell’ultimo decennio gli investimenti hanno registrato un calo significativo, mentre gli investimenti digitali hanno avuto un incremento di 4 punti percentuali. Il commercio elettronico nel fatturato delle PMI è passato dal 4,9% nel 2014 all’8,2% del 2015. In questo scenario si muove il concetto di Industria 4.0 con cui si identificano gli strumenti che caratterizzano l’evoluzione tecnologica e digitale della quarta rivoluzione industriale: IoT, cloud computing, Big Data, realtà virtuale.
7. Formazione e competenze
Secondo il rapporto del Censis «una partita importante si gioca sul tema della formazione e delle competenze. La domanda di lavoratori con “adeguate competenze digitali” cresce del 4% all’anno in tutta Europa (Commissione EU) e si potrebbe arrivare a 825 mila posti di lavoro non coperti entro il 2020 se non saranno sviluppate azioni concrete». Per ridurre il gap e quindi il rischio di una mancanza di figure professionali sufficienti a coprire il fabbisogno nazionale ed europeo, «il Piano Crescita Digitale, ha condotto un percorso di ricognizione delle esperienze formative in corso a tutti i livelli, dal locale al nazionale. La strategia italiana per le competenze digitali trova attuazione anche in una piattaforma, dove raccogliere, tutte le progettualità che prevedono occasioni formative verso tutti i target: PA, imprese e cittadini».
8. In 6 anni gli incubatori in Europa aumentano del 400%
La realtà degli incubatori d’impresa, si legge nel rapporto, è radicata in molte nazioni europee fra le quali Germania, Francia, Inghilterra, Spagna, Olanda, Svezia e Belgio. In generale, il numero degli incubatori aumenta costantemente, e ciò che più sorprende è che tale crescita si sia verificata soprattutto nel periodo della crisi economica globale; basti pensare che dal 2007 al 2013 il numero degli incubatori d’impresa in Europa ha fatto segnare un incremento del 400%. «Anche in Italia – fa sapere il Censis – gli incubatori d’impresa sono uno dei pilastri fondamentali su cui poggia l’ecosistema delle startup innovative. Gli incubatori italiani certificati dal Ministero dello sviluppo economico e iscritti all’apposita sezione speciale del registro delle imprese sono in totale 40, concentrati principalmente nei territori a più alta vocazione imprenditoriale».