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Tra i tre candidati al rettorato dell’università statale di Milano, c’è Maria Pia Abbracchio, una donna proveniente dal settore scientifico, con un curriculum e riconoscimenti internazionali di tutto rispetto. Al di là dell’esito dell’elezione, la sua è una testimonianza di coraggio e tenacia per tutte le #UnstoppableWomen
È presidente dell’Osservatorio della ricerca dell’Università degli Studi di Milano, è stata nominata dalla Thomson Reuters “Highly cited scientist”, titolo assegnato in base al numero di citazioni nella letteratura scientifica internazionale e che definisce gli scienziati più autorevoli in tutte le discipline e, dal 2016, viene consultata per le candidature del Premio Nobel in Fisiologia e Medicina.
Lei è Maria Pia Abbracchio, professoressa ordinaria di farmacologia nell’Università di Milano, dove coordina un gruppo di ricerca, con una specializzazione in tossicologia sperimentale e un dottorato in medicina sperimentale. Ha diverse esperienze all’estero e, da più di 2 decenni, si occupa di recettori di membrana e di come agiscono nei processi di differenziamento, proliferazione e morte cellulare. Nel 2015, ha scoperto assieme ai suoi colleghi una proteina, presente in cellule simil staminali, in grado di favorire la neurogenesi. Al di là dei titoli, delle competenze e delle quasi 180 pubblicazioni, Maria Pia è una donna aperta al dialogo e crede fermamente che saper comunicare e spiegare cosa c’è che non va, sia il modello vincente, quello che sostiene e applicherà se diventerà il nuovo rettore dell’Università di Milano. Stanno scadendo i 6 anni di mandato di Gianluca Vago e il 13 giugno si saprà chi sarà il suo successore, tra i 3 candidati: Maria Pia Abbracchio, Giuseppe De Luca ed Elio Franzini.
Abbiamo intervistato l’unica donna candidata, per conoscere cosa è successo in questi mesi di intensa campagna elettorale e come sia percepita la leadership femminile nell’ambiente universitario.
L’intervista
Professoressa Abbracchio, la campagna elettorale si è rivelata come se la aspettava?
Ad essere sincera, è stata più difficile di quanto mi aspettassi sono stata spesso definita come una otusider dal momento che non ho assunto né una posizione di continuità né di antitesi rispetto all’attuale rettore. La mia linea è stata quella di prendere il buono del passato, proiettandomi però al futuro, guardando agli errori non in modo punitivo ma per evitare di commetterli nuovamente, come ci insegna la storia. Ci sono state delle difficoltà anche nella raccolta delle firme per formalizzare la mia candidatura ma, dopo mesi di tempesta, è successa una cosa meravigliosa: si è formato spontaneamente un comitato interno di persone di grande livello culturale, moltissime donne, provenienti da tutti gli atenei, che, riconoscendo le mie competenze e il mio valore, hanno iniziato a sostenermi. Non sono più stata, a quel punto, un “cane sciolto” ma una candidata rettrice stimata da molti.
Qual è la percezione della leadership femminile nell’ambiente universitario?
In apparenza, sembra ci sia massima apertura da parte dei colleghi uomini ma, inevitabilmente, scattano dei meccanismi derivanti dagli stereotipi, spesso senza che ce ne si accorga. Il vero problema è che ad essere stereotipate sono proprio alcune soft skill delle donne: l’apertura al dialogo e l’empatia vengono spesso associate all’incapacità di saper prendere delle decisioni, tant’è che durante la campagna elettorale, alcuni mi hanno consigliato di essere meno disponibile per non lanciare il messaggio che non fossi abbastanza autorevole. Il punto è che a me piace stare e confrontarmi con le persone e la gente percepisce questa mia empatia. Sono riuscita, però, a far capire che, in un’organizzazione, l’unico modo per prendere decisioni efficaci è seguire non un modello a stella, in cui il capo e il potere sono al centro e gli altri riparti restano al margine, magari senza nemmeno conoscersi e, soprattutto, senza poter contribuire al processo decisionale; ma, piuttosto, un modello circolare, in cui c’è una persona che guida e che, con la sua autorevolezza, fa da punto di sintesi delle idee degli altri, con cui è in connessione. Partire da un’idea e modificarla, dopo essersi confrontati, non è un segnale di debolezza né portare i punti di vista degli altri significa demandare le decisioni: chi guida ha la piena responsabilità di quella che è una scelta condivisa.
Perché l’Università di Milano ha bisogno di una rettrice e di una persona come lei?
Perché una donna porta dialogo e tranquillità, di cui probabilmente, mai come ora, ha bisogno l’università, visti gli attriti scoppiati dopo la formalizzazione del trasferimento sede nell’area di Expo. In generale, credo, infatti, sia fondamentale non avere paura di comunicare e spiegare perché non si è riusciti a fare tutto quello che si era detto: la gente è in grado di capire e si pone in una posizione di ascolto e non di ostilità. Una donna al vertice di un’organizzazione, inoltre, la rende più moderna e autorevole e lancia un segnale positivo di apertura che può essere interiorizzato dalle carriere più giovani. Per quanto riguarda me, penso di avere tutte le carte in regola per mettermi in gioco: ho una mentalità e una carriera di tipo scientifico e, come tutte le donne, sono pragmatica. Competenze e pragmatismo sono fondamentali per l’attuazione di un piano strategico integrato di tutti gli atenei e lo si è visto per l’università Bicocca, in cui la rettrice Cristina Messa, con un background medico-scientifico, sta facendo grandi cose. Un altro fattore molto importante è che mi sto candidando al rettorato alla fine della mia carriera e non lo considero un trampolino di lancio per delle attività, magari in politica, postume, tipiche di chi lo fa a metà del suo percorso lavorativo. Anzi, penso che, a differenza degli uomini, dopo un’esperienza del genere non è svilente tornare a insegnare nelle aule universitarie.
Cosa succederà se dovesse diventare rettore uno dei suoi colleghi?
Non so se la nuova governance mi metterà a dura prova o ci sarà la possibilità di collaborare. Quello che conta però è che sono comunque felice di essere arrivata fin qui e di aver messo la faccia in tutto quello che ho fatto. Ho le spalle abbastanza larghe, sono tante le persone che mi stimano e sono certa che le mie competenze mi permetteranno comunque di continuare a fare il lavoro che amo, soprattutto nel campo della ricerca scientifica.