Startupper, giornalisti, architetti e innovatori hanno animato un panel condotto da Riccardo Luna all’Internet Festival di Pisa per mostrare come, dati alla mano, il digitale ha stravolto il mondo (e come continuerà a farlo)
Trent’anni in una dimensione digitale sono un lasso di tempo enorme. Precisamente, sono gli anni che ha l’Internet italiano: il 30 aprile 1986, infatti, è stato realizzato, da via Santa Maria a pochi passi dalla Torre di Pisa, il primo collegamento italiano alla Rete Arpanet. E proprio nella città della torre pendente, nella cornice dell’Internet Festival, alcuni professionisti che hanno messo il digitale al centro del loro mestiere hanno raccontato come, da quel momento, niente è stato più lo stesso. “30 anni da 30 e lode: come Internet ha cambiato la vita nei primi 30 anni e come la cambierà nei prossimi 30” era il titolo del panel che Riccardo Luna ha condotto ieri al Cinema Lumiere, nella terza giornata dell’Internet Festival, e che Joshua Held ha raccontato in real time con le sue illustrazioni.
Internet che cambia le città
Stefano Quintarelli, autore del libro edito da Sole24Ore “Costruire il domani” ha fatto una panoramica su come ogni settore della nostra vita sia stata “smaterializzata” in seguito all’abbassamento dei costi delle tecnologie: “Non chiamiamole nuove tecnologie, chiamiamole solo tecnologie – ha detto – e soprattutto non chiamiamole virtuali, internet non è virtuale è reale più che mai”. Tutto ciò che è digitale è automaticamente esponenziale: “Negli ultimi 8 anni è cambiato tutto. Nel tempo in cui un bambino nasce e arriva a frequentare la seconda elementare si è verificata la democratizzazione dell’accesso a Internet”. Quintarelli ha mostrato dei dati secondo cui l’89% delle persone in italia dichiarano di essere collegate sempre o molte ore al giorno: “Arriverà un giorno in cui qualunque cosa abbia un ben che minimo senso sarà collegato in rete – ha commentato – Il mondo si è ristretto ed è diventato sempre più accessibile”. In questo scenario le città sono diventate delle “grandissime interfacce utente” da costruire “pensando a cosa è socialmente desiderabile”. Nel discorso sulle città è intervenuto l’architetto Carlo Ratti, il “Willy Wonka dell’innovazione” come l’ha definito Luna. Ratti è autore di tantissimi progetti che hanno come cuore l’Internet of things e le smart cities. “L’ultima cosa a cui stiamo lavorando è proprio qui a Pisa – ha raccontato – è un progetto fatto col Cnr legato alla condivisione della mobilità: si chiama PisaPool e si ispira a Uberpool: diverse persone possono condividere le auto per andare a lavoro insieme. Vuol dire meno traffico, meno emissioni e più possibilità di incontrare persone”. Ma molti dei progetti di Ratti sono soprattutto all’estero: “Ad Amsterdam abbiamo fatto un progetto col sindaco che è un grande appassionato di tecnologia e self driving cars. Ma in quella città non ci sono automobili! Così abbiamo creato i battelli che si guidano da soli: costituiscono un sistema di trasporto ma anche di monitoraggio della qualità dell’acqua e in casi di emergenze possono diventare una vera infrastruttura mobile”. Ratti è a capo del MIT Senseable City Lab di Boston; potrebbe essere considerato un “cervello in fuga” ma questa è una definizione che a lui non piace: “Non dovremmo più usare questo termine: è molto bello che che le persone vadano in giro. Il problema dell’Italia – ha commentato – è che c’è un deficit: tante persone vanno, ma poche vengono”.
Internet che cambia la musica
Interne ha stravolto soprattutto il mondo dell’entertainment, del cinema e della musica. “Prima c’erano le major che distribuivano le cassette ed era complesso fare concorrenza a quei colossi perché avevano in mano la materia prima e la distribuzione – ha spiegato Davide D’Atri di Soundreef, startup che sta sfidando apertamente il sistema di gestione dei diritti d’autore nella musica – poi è nata la pirateria: da una parte c’era l’establishment che accusava i ladri di diritti, dall’altra le persone che volevano fruire della musica in modo nuovo”. Internet nel mondo della musica ha rappresentato, quindi, un modo per fare concorrenza ai colossi: “E negli ultimi tre anni forse c’è stata una rivoluzione ancora più impattante: è una rivoluzione che non fa stare tranquilli i grandi monopolisti, come la SIAE – ha detto D’Atri – Non c’è mai stata una azienda che ha lavorato in concorrenza con i monopolisti del b2b come la SIAE. Noi stiamo cercando un modo per togliere carta e penne dal sistema dei pagamenti per i diritti d’autore nella musica e inserire il digitale”.
Internet che cambia i rapporti
L’Internet che “avvicina” è il tema raccontato da Federico Bastiani, autore di Social Street: un movimento per conoscere e socializzare i vicini di casa, che si è guadagnano anche la prima pagina dell’edizione internazionale del New York Times. “L’idea di social street è nata per caso: mi ero trasferito a Bologna e come tutte le persone che si trasferiscono non avevo una rete di contatti, e questa cosa mi pesava un po’ – ha spiegato Bastiani – così ho aperto un gruppo su Facebook che ho chiamato ‘via fondazza’. Ha avuto un grande successo”.
Col tempo le social street si sono moltiplicate, oggi ce ne sono 452 in tutto il mondo.
Tutto è gratuito e si basa sul principio del dono, sulla socialità disinteressata e sull’inclusività. L’obiettivo di social street è conoscere i vicini di casa e scambiarsi informazioni: “Già questo crea un certo tipo di rapporto tra le persone, si crea senso di comunità e appartenenza” ha detto Bastiani.
Internet che cambia informazione e soldi
Dire che internet abbia cambiato il giornalismo è, probabilmente, un eufemismo. L’ha stravolto. L’avvento dei blog, dell’informazione citizen, dell’agenzia-Twitter ha posto profonde domande sul futuro della professione. “Internet è sempre stata vista come una rottura di scatole dal giornalismo – ha detto Anna Masera, public editor de La Stampa – le redazioni ci mandavano quelli che non sapevano lavorare per toglierseli di torno. Ma se il giornalismo non cambia, oggi rischiamo di essere veramente dei dinosauri. Sono 10 anni che diciamo che dobbiamo cambiare e c’è un tracollo nelle vendite cartacee”. Questo però non significa che non ci sia più bisogno di giornalisti, tutto il contrario: “C’è tanto bisogno di giornalismo, di informazione, di fact checking. C’è bisogno di un giornalismo che spiega, basta con lo storytelling, lo fanno le agenzie di comunicazione, lo fanno i politici, lo fanno tutti.
Noi dobbiamo spiegare.
Dobbiamo essere un po’ meno tech-entusiasti e un po’ più attenti alla trasparenza nel parlare con i lettori”.
Sulla trasparenza si è soffermata anche Benedetta Arese Lucini di Ovalmoney, un’app collegata al conto e alla carta di credito dell’utente che fornisce informazioni sulle sue abitudini di spesa e lo aiuta a risparmiare. “Il mercato di internet non solo cambierà come vengono fatte le transazioni online ma la frontiera più importante è come cambierà il mercato finanziario” ha detto Arese Lucini che ha dato anche la risposta: “Creando un tipo di inclusione che nelle banche non c’è mai stata. Questo è quello che ci permette di fare oggi Internet”. Oltre, naturalmente, alla condivisione: “La sharing economy permette di mobilitare energie in modo leggero e di arrivare in posti insoliti, di nascere tra i gruppi sociali più impensabili – ha concluso Ivana Pais dall’Università Cattolica – come una classe di scuola media che ha mobilitato tutta l’Italia su un crowdfunding per cercare di comprare l’isola di Budelli, togliendola così dal mercato dei privati” (una storia molto bella, che vi avevamo raccontato qui).