I segnali che suggeriscono un futuro importante per Tunisi: dal numero delle startup alla vivacità imprenditoriale. E Madison inserisce Tunisi nella top 10 delle città in cui è meglio fare startup
Dopo Israele potrebbe toccare alla Tunisia? Il nuovo hub mediterraneo delle startup potrebbe fioccare, quasi per magia, a 140 chilometri dalle coste italiane? Per il momento è un’ipotesi affascinante quanto complicata. Tuttavia, contro la retorica giornalistica, è anche una prova che, della Primavera araba innescata proprio da quelle parti nel 2011, non tutto è da buttare. Al contrario, i segnali che arrivano da quella scena, come ha sottolineato Tech Crunch, sembrano confortanti.
Cosa sta succedendo in Tunisia
Non ci sono ovviamente numeri ufficiali. Ma secondo alcune stime nel corso degli ultimi cinque anni, cioè dalla rivoluzione dei gelsomini che ha cacciato l’ex presidente Ben Ali al potere dal 1987, sarebbero sorte alcune centinaia di startup. Spinte, per paradosso, anche da un ritrovato spirito d’intraprendenza legato ai disoccupati: il tasso è al 15% ma un terzo dei tunisini privi d’impiego è costituito da laureati. La libertà di accesso alla rete e i salti in avanti tecnologici dell’ultimo quinquennio hanno fatto il resto. Certo molto si deve alla situazione politica, decisamente più stabile rispetto ai vicini nordafricani – nonostante l’attentato del Bardo dell’anno scorso – grazie alla tornata elettorale del 2014 che ha premiato il partito laico Nidaa Tounes ed eletto alla presidenza Beji Caid Essebsi.
I dati fondamentali sono due. Il primo è la vicinanza all’Europa. Sia come modello a cui aspirare, almeno sotto il profilo del tessuto imprenditoriale, che per le opportunità a disposizione in termini di mercato, di bandi, di occasioni di promozione dei progetti. L’altro il lancio, lo scorso maggio, della Carta tecnologica internazionale, un sistema di carte bancarie prepagate che ha consentito al neonato ma vivace settore delle startup di finanziarsi. Permette infatti di effettuare pagamenti su siti internazionali in valuta estera.
Le startup, dalla burocrazia alla borsa
Ma quali sono gli ambiti che stanno stimolando di più la creatività degli startupper tunisini? Quelli che, da una parte, continuano sull’onda del movimento sbocciato nel 2011 e dall’altra colmano i vuoti di un apparato statale estremamente carente. Una è per esempio Secure Drive Company, lanciata nel 2015, una piattaforma che offre assistenza in caso di incidenti stradali in aree remote, tagliando così i tempi, spesso lunghissimi, dell’intervento della polizia. Un’altra è E-Taxi, una specie di Uber locale. Ancora, ilboursa.com, un sito dedicato al mercato azionario fra i più cliccati del Paese. Atelier Fantar, dedicato all’artigianato locale. Founded in Tunisia ne raccoglie molte altre, non tutte ancora attive.
Gli incubatori, che funzionano come quelli all’estero
D’altra parte anche la scena degli incubatori, che si nasconde dietro questi successi, sembra interessante. Fra questi il Founder institute o il Boost. Il funzionamento è simile a quello internazionale: le giovani compagnie trovano sostegno, mentorship e fondi per sviluppare la propria idea e tentare di lanciarla sul mercato. Ma questi luoghi funzionano al contempo come centri di formazione aggiuntivi per la popolazione grazie a progetti come il Programma integrato di sviluppo della Commissione generale per lo sviluppo regionale. Un altro incubatore è il saudita Flat6Labs, attivo in tutto il Maghreb e chiaramente anche nel golfo persico: sbarcherà nei prossimi mesi in Tunisia. Un altro ancora Cogite a Lac, sobborgo di Tunisi. Si tratta di uno spazio creativo a metà fra coworking e incubatore guidato da Houssem Aoudi, che lo ha fondato insieme a Rym Baouendi e Zied Mhirsi e che ha anche lanciato TEDxCarthage: “Per me l’imprenditoria è un tipo di resistenza contro un sistema bancario poco collaborativo e il nostro governo – ha detto il Ceo – essere imprenditori significa avere una valvola per respirare”.
Le difficoltà, 140 giorni per lanciare una startup
Le difficoltà strutturali rimangono moltissime, comprese quelle macroeconomiche. Dal quadro generale degli investimenti, che Tech Crunch definisce “opaco”, ai fondi pubblici o all’assistenza legale, fondamentale in un Paese avviato verso un percorso di consolidamento democratico. Aprire una società richiede 140 giorni di tempo, un vero percorso a ostacoli. C’è poi l’elemento estero: occorrono più fondi stranieri, serve convincere i venture capitalist europei a investire in Tunisia. Anche se il quadro, pur migliore nell’area, non rassicura chi voglia mettere sul tavolo i propri soldi o quelli che amministra. Lo scorso anno sono arrivati 50 milioni di dollari dallo statunitense Overseas Private Investment Corporation, braccio armato dei programmi di sviluppo di Washington.
Il mercato del venture, soffre le difficoltà di un paese non ricco
I soldi mancano anche sul piano interno, sebbene molto si sia mosso. Per esempio grazie a molti investitori privati assistiti dalla Carthage Business Angels association, un gruppo da cui sono nati anche l’acceleratore Univenture e la società di consulenza WikiStage. Oppure grazie a Startup Factory, l’acceleratore sostenuto dalla compagnia locale di telecomunicazioni, Tunisiana, Impact, Réseau Entreprendre o Microsoft Innovation Center. Si tratta spesso di cifre limitate ma comunque utili a mettersi in moto, come spiegava in un reportage Alyne Mayard.
Le storie
Tunisia Live aveva dedicato uno speciale al fenomeno alcuni mesi fa. Raccontando le storie di alcuni protagonisti di questo percorso. Quella, per esempio, di Khaled Bouchoucha e del sua Iris, un sistema per aumentare la produttività dell’apicoltura: «Mi sono licenziato dal vecchio lavoro per dedicarmi a tempo pieno al progetto – disse all’epoca – perché credo nella sua originalità e nell’unione fra nuove tecnologie e questo settore».
«Il concetto di startup è un fenomeno nuovo, qui – gli fece eco un imprenditore, Sadek Ghannouchi, fondatore proprio di E-Taxi – siamo alla prima generazione e molte possibilità sono ancora aperte»”. Davvero in ogni settore, come dimostra Rap Arabe, una piattaforma digitale per emancipare, diciamo così, il rap di strada non solo in Tunisia ma anche in Egitto, Marocco e Algeria. Chissà che non diventi una Spotify del Maghreb.
Altre testate hanno dedicato approfondimenti ai punti forti e al nuovo spritio imprenditoriale tunisino. Per esempio quello di Walid Sultan Midani, fondatore di Digital Mania Studio, primo sviluppatore locale di videogame e applicazioni. Ce n’è pure una che commemora la caduta di Ben Ali. «È stato davvero interessante assistere all’esplosione di iniziative imprenditoriali dalla Primavera araba, specialmente dalla società civile, sempre più forte»” ha detto a Open Democracy Alia Mahmoud del Microsoft Innovation Centre.
Nella top 10 dei paesi dove conviene lanciare una startup
Molto più che segnali. Realtà che cominciano a crescere. Non è un caso che proprio la Tunisia, insieme al vicino Egitto, sia stata inclusa un paio di mesi fa fra i primi dieci Paesi in cui conviene lanciare una startup. A stilare la classifica Richard Madison della Brighton School of Business and Management insieme a Seedstars Word, compagnia svizzera di promozione dell’imprenditoria nei mercati emergenti.
Secondo Madison la scena delle startup mondiali si sta arricchendo. Gli hub in giro per il mondo sono ormai moltissimi e non ci si può fermare a Silicon Valley, Tel Aviv e Berlino. La sua lista è uscita da una serie di parametri come tassazione, costi di apertura delle società e accesso a internet. Se al vertice ci sono Cina, Malesia e Polonia subito dopo arrivano Russia, India, Australia e proprio Tunisia. Completano il giro Regno Unito, Egitto e Bulgaria. Per l’indagine, il cuore pulsante della scena è il Tecnopark Elgazala, il primo polo tecnologico tunisino, un ambiente integrato di piccole e medie imprese e multinazionali nell’Ict. Sono una novantina fra cui 12 filiali di grandi gruppi internazionali, da Microsoft a Ericsson passando per St Microelectronics o Alcatel Lucent.