Si chiama Lujendra Ojha, ha 25 anni, suona la chitarra elettrica, ed è un appassionato di death metal. La prima volta che ha notato i solchi dove scorre l’acqua su Marte aveva solo 21 anni
Lo stereotipo è infranto. Orecchino di legno al lobo, pizzo lungo, collana etnica. Chi ha scoperto che su Marte scorre acqua salata, non è uno scienziato dai capelli bianchi e spettinati. Lujendra Ojha ha 25 anni, suona la chitarra elettrica, ed è un appassionato di death metal (prima di entrare nella storia della Nasa aveva anche un gruppo). Tecnicamente è ancora uno studente: scorrendo il suo cv, si legge che sta seguendo un dottorato al Georgia Institute of Technology (in “Scienza planetaria e vulcanologia minore”), e che si aspetta di concludere gli studi il prossimo anno. E’ già laureato in geofisica, ed ha una lista di premi e riconoscimenti che richiedono parecchi scroll con il mouse per leggerli tutti. Ma soprattutto cinque anni fa (quando aveva solo 21 anni) ha scoperto quelli che poi si sarebbero rivelati i solchi dove scorre l’acqua su Marte: lo scorso lunedì 28 settembre la Nasa ha diffuso la notizia in un’attesissima conferenza stampa. E Lujendra Ojha ha definito la sua scoperta “il più grande incidente della mia vita”.
Scienza e chitarra elettrica
Se visitate il sito web di Ojha, la prima foto che vedete è di un “metallaro” con i capelli lunghi e chitarra in braccio. “Era la mia vecchia vita – ha detto Ojha – Suonavo in un gruppo, ma ero sempre in povertà, la musica non mi faceva fare abbastanza soldi per vivere, quindi l’ho lasciata. Proviamo con la scienza, mi sono detto. Magari lì ci sono più soldi: ma poi ho scoperto che non ci sono soldi nemmeno lì”. Forse non sarà diventato ricco, ma famoso lo sarà sicuramente.
Nel 2010 la prima scoperta
Si è trasferito dal Nepal agli Stati Uniti quando ancora era un teenager. Lui e i suoi genitori si stabiliscono a Tucson, Arizona. Cinque anni fa, nel 2010, da studente universitario, ha notato per la prima volta delle “strisce” sulla superficie di Marte, nell’ambito di una ricerca condotta all’Università dell’Arizona con Alfred McEwen, un geologo planetario, e Colin Dundas, un ricercatore di geologia marziana: erano le RSL (“recurring slope linae”, le strisce che ricorrono sulla superficie di Marte dove scorre l’acqua salata). “Mi sembravano strisce create dalla polvere, e sono andato più a fondo per scoprire di più”. Ma a quel tempo Lujendra Ojha non aveva ancora idea che dentro quei solchi poteva scorrerci l’acqua. Dopo questa scoperta iniziale il professor McEwen gli consiglia di usare una tecnica fotografica chiamata “change detection”: in altre parole di fotografare sempre lo stesso punto in giorni diversi per vedere che cambiamenti ci sono. Usando la potentissima fotocamera HiRISE che si trova a bordo della Mars Reconnaissance Orbiter della Nasa, Ojha e il team dell’Università dell’Arizona notano che le strisce appaiono e scompaiono a secondo delle stagioni marziane: è il segno che quei “solchi” possono essere creati dal fluire dell’acqua salata, che è assente in inverno e compare in primavera, quando il clima si fa più caldo. Le osservazioni vengono pubblicate nel 2011: la probabilità che ci sia acqua su Marte è alta, ma manca ancora la prova chimica.
“L’acqua c’è”
E’ dicembre 2014: Lujendra Ojha sta svolgendo il dottorato alla Georgia Tech e decide di inserire nel suo progetto di dottorato la scoperta dei solchi su Marte. Lui e altri scienziati cominciano ad esaminare i dati provenienti da Crism, un potente strumento per riconoscere i minerali a bordo della Mars Reconnaissance Orbiter. Scoprono che nei solchi ci sono sali e che le strisce sono create dallo scorrimento dell’acqua. Finalmente l’ipotesi si può provare: c’è acqua sul pianeta rosso.
Lujendra Ojha ha ancora un anno prima di laurearsi al Georgia Tech. Dice di voler mantenere una mentalità da “tuttofare”, senza concentrarsi troppo su un singolo settore scientifico. Oltre a lavorare alla missione della Nasa “Insight” per sapere di più sui “Marsquakes”, cioè sui terremoti su Marte, trascorre anche molto tempo nel suo paese nativo, il Nepal. I terremoti, infatti, lo appassionano: non si interessa solo di quelli spaziali, ma studia anche quelli dell’Himalaya. Come è possibile fare tutto insieme? “So che probabilmente dovrei godermi di più la vita, ma in certi giorni semplicemente non dormo per lavorare a tante cose diverse. Va bene così”.